Hyouka (Italiano):Volume 1

From Baka-Tsuki
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1 - Lettere da Benares[edit]

Caro Houtarou,

In questo momento, mi trovo a Benares. È così che noi in Giappone chiamiamo questo posto, ma in realtà il nome “Varanasi” sarebbe più corretto in termini di pronuncia.

Benares è una città molto importante, conosciuta soprattutto per le sue cerimonie funebri. A quanto pare, chi muore qui, può andare direttamente in paradiso, o mi sbaglio?

Ah, giusto. Si dice anche che questo posto sia “libero dal ciclo della reincarnazione”. In pratica, morire qui, equivale a diventare un essere illuminato, dal punto di vista del Buddismo. In Cina, per raggiungere uno stato di “liberazione” è necessario un lungo periodo di austerità. Al contrario, se perdi la vita in questo posto, tutto andrà bene di sicuro.

Be’, ad ogni modo, si tratta solo di una patetica leggenda cinese.


Potrebbe essere un po’ tardi, ma congratulazioni per l’ammissione al liceo. Andrai all’istituto Kamiyama, giusto? Che scelta noiosa... Ma congratulazioni in ogni caso.

Essendo la tua sorella maggiore e visto che sei riuscito con successo a diventare uno studente delle superiori, permettimi di darti un consiglio.

Entra nel Club di Letteratura Classica.

Al liceo Kamiyama, il club in questione possiede una lunga tradizione. Inoltre, anche se forse lo sai già, io stessa ne ho fatto parte in passato.

Purtroppo, sembra che non si sia iscritto nessuno per ben tre anni di fila e al momento non c’è alcun membro. Se non facciamo qualcosa, il club verrà sciolto. Come ex membro, non posso di certo sopportare una cosa del genere.

Ovviamente, se ci saranno dei nuovi arrivati nel mese di aprile, la situazione andrà diversamente. Houtarou devi proteggere il Club di Letteratura Classica, la gioventù di tua sorella. Adesso vai ad inserisci il tuo nome nella lista dei nuovi iscritti.

Tra l’altro, non è poi così male come club. In autunno, è molto piacevole da frequentare.

Inoltre, scommetto che non hai nulla di meglio da fare, vero?

Ti contatterò dopo aver raggiunto Nuova Delhi.

Con affetto,
Tomoe



2 - La Rinascita del Tradizionale Club di Letteratura[edit]

Molti dicono che quello delle superiori sia un periodo "roseo". Con la fine dell'anno 2000, l'arrivo del giorno che corrispondeva a quella definizione, come descritta da un dizionario giapponese, non era più così lontano.

Comunque, non è detto che tutti gli studenti delle superiori desiderino una vita così "rosea". Che si tratti di studio, sport o storie d’amore, ci sarà sempre qualcuno che preferisce avere una vita "grigia"; questo era il mio giudizio. Eppure, era un modo piuttosto solitario di vivere la propria esistenza.

Era questo l’argomento di cui stavo discutendo insieme al mio amico Satoshi Fukube, mentre la classe era illuminata dalla luce del tramonto. Come al solito, Satoshi mostrava un volto sorridente e mi disse: «Anch’io la penso così. Ad ogni modo, non pensavo che tu fossi così masochista».

Purtroppo si sbagliava. Così protestai: «Stai dicendo che la mia vita è "grigia"?»

«L’ho detto? Vedi, Houtarou, che si tratti di studio, sport, o cos’era l’altra? Storie d’amore? Non penso che tu ti sia mai interessato a queste cose».

«In effetti, anch’io non mi interesso molto a riguardo».

«Esatto».

Il sorriso di Satoshi si allargò.

«Stai soltanto "risparmiando energie", dopotutto».

Diedi la mia approvazione con un grugnito. Non odiavo essere attivo, ma semplicemente non mi piaceva sprecare energie per qualcosa di fastidioso. Preferivo sprecare le mie energie per migliorare il mondo. In parole povere, "non facevo nulla che non fossi costretto a fare. E se proprio mi toccava farla, me la sbrigavo alla svelta".

Satoshi avrebbe alzato le spalle come al solito, se gli avessi ripetuto il mio motto.

«Che si tratti di risparmiare energie o di cinismo, alla fine è la stessa cosa, giusto? Hai mai sentito parlare dello strumentalismo[1]

«No». «In breve, il fatto che tu non abbia alcun particolare interesse e che non ti sia iscritto a nessun club in un istituto come il Kamiyama, dove c’è una vasta possibilità di scelta, ti rende in automatico una persona "grigia"».

«Cosa? Mi stai dicendo che la morte per omicidio non è poi così diversa dalla morte per negligenza?»

Satoshi rispose senza esitazione: «Da una certa prospettiva, sì. Ma, se stai cercando di esorcizzare l’anima di una persona morta, dicendogli che la sua morte è stata causata da una tua negligenza, allora si tratta di una questione totalmente diversa».

«...»

Bastardo insolente. Guardai ancora una volta la persona davanti a me. Satoshi Fukube, un amico di vecchia data, nonché un degno avversario e un rivale mortale, era piuttosto basso per essere un ragazzo. Nonostante fosse uno studente delle superiori, lo si poteva confondere per un soggetto debole dall’aspetto femminile, ma interiormente era una persona totalmente diversa. Descrivere cosa fosse questa differenza è difficile… Ad ogni modo, lui dava la sensazione di essere diverso. Oltre a portare un sorriso tutto il tempo, si faceva sempre vedere in compagnia di una borsa con chiusura a lacci e un’aria da impertinente. Era anche membro del club di cucito, non chiedetemi il motivo.

Discutere con lui era solo uno spreco di energie. Agitai la mia mano per indicare la fine di quella conversazione.

«In ogni caso, è ora di tornare a casa».

«Già, hai ragione. Oggi non ho nessuna attività per il club… credo che andrò a casa».

Mentre Satoshi si stiracchiava, a un certo punto si rese conto di qualcosa e guardò verso di me.

«Hai detto "è ora di tornare a casa"? È raro sentirtelo dire».

«In che senso?»

«Di solito, te ne saresti già tornato a casa, senza pronunciare una singola parola. Che affari hai dopo la scuola, se non sei iscritto a nessun club?»

«Ah».

Alzai le sopracciglia e presi un pezzo di carta dalla tasca destra della mia giacca. Dopo averlo consegnato a Satoshi, i suoi occhi si allargarono dallo stupore. Sembrava sbalordito. In realtà, nonostante la sua espressione, non credevo che lui fosse poi così sorpreso. Satoshi era ben noto per le sue reazioni esagerate, dopotutto.

«Cosa?! Non è possibile…»

«Satoshi, non esagerare».

«Questo è un modulo di iscrizione a un club. Sono sorpreso. Cosa diavolo ti è successo? Houtarou che si iscrive a un club...»

In effetti, si trattava di un modulo di iscrizione a un club. Dopo aver letto il nome del club che vi era scritto sopra, Satoshi alzò le sopracciglia.

«Il club di letteratura classica...?»

«Ne hai sentito parlare?»

«Certo, ma perché hai scelto proprio questo club? Ti stai interessando alla letteratura classica?»

E ora come avrei dovuto spiegarglielo? Mi grattai la testa e presi un altro pezzo di carta dalla tasca sinistra della mia giacca. Consegnai a Satoshi una lettera dalla grafia scarabocchiata.

«Leggila».

Satoshi prese prontamente la lettera e cominciò a leggerla. Poco dopo, iniziò a ridere come previsto.

«Ah ah, Houtarou, questa è di certo una seccatura. Una richiesta da tua sorella, eh? Non c’è modo che tu la possa rifiutare».

Perché era così allegro? D'altro canto, sapevo di star mostrando un’espressione amara sul volto. La lettera, arrivata quella mattina dall'India, stava tentando di apportare modifiche al mio stile di vita. Tomoe Oreki si comportava sempre così: mandava di continuo lettere per rovinarmi la tranquillità.

«Houtarou devi proteggere il club di letteratura classica, la gioventù di tua sorella».

Quando avevo aperto la busta e letto la lettera, capii subito che il suo contenuto era piuttosto egoistico. Non avevo l’obbligo di proteggere i ricordi di mia sorella, ma…

«Tua sorella è specializzata nello Jujutsu[2], vero?»

«Aikido e Taiho-jutsu[3]. Chiunque finirebbe steso, se cercasse di farle del male».

Mia sorella, un’esperta studentessa universitaria e una professionista nelle arti marziali, non si accontentava di conquistare solo il Giappone. Perciò, aveva deciso di uscire dal Paese per sfidare anche il mondo intero. Non sarebbe stato saggio incorrere nella sua furia.

D'altro canto, anche se avessi provato a resistere sfruttando il mio poco orgoglio, avevo comunque pochi motivi per oppormi a lei. Infatti, mia sorella aveva colpito nel segno, facendo notare che non avevo niente di meglio da fare. Decisi quindi che era meglio essere un membro fantasma, piuttosto che non essere iscritto a nessun club, e così, senza esitazione, avevo presentato la domanda quella mattina.

«Sai cosa significa, Houtarou?»

Disse Satoshi, mentre osservava la lettera di mia sorella. Sospirai e dissi: «Sì, so che non mi porterà alcun beneficio».

«No, non era quello che intendevo…» disse con un tono stranamente allegro, mentre alzava lo sguardo dalla lettera.

Colpì quest’ultima con il palmo della mano e disse: «Al momento, non ci sono membri nel club di letteratura, giusto? Questo significa che l’aula del club sarà tutta per te. Non è fantastico? Un angolo privato all’interno della scuola dedicato al solo uso personale».

Un angolo privato?

«Questo è un modo interessante di vedere le cose…»

«Ti piace l’idea?»

Un ragionamento interessante. Satoshi stava fondamentalmente dicendo che avrei potuto avere una base segreta all’interno della scuola. Quell’idea non mi sarebbe mai venuta in mente. Un angolo privato, eh? Non lo desideravo particolarmente e, di certo, non avrei mai sprecato energie per una cosa del genere… Ma, se si trattava di un vantaggio, avrei potuto farci un pensierino. Ripresi la lettera dalle mani di Satoshi e gli risposi: «Credo che non sia poi così male. Andrò a dare un'occhiata».

«Ottimo, una buona opportunità è lì pronta ad attenderti».

Una buona opportunità mi attendeva? Be’, effettivamente si adattava bene alla mia personalità, così feci un sorriso amaro e presi il mio zaino a tracolla.

Ero ancora fedele al mio motto.


Dalle finestre aperte, si sentivano le urla del Club di Atletica.

«Forza! Forza! Forza! ...»

Non volevo essere coinvolto in un tale spreco di energie. Non fraintendetemi, non stavo dicendo che risparmiare energie fosse in assoluto l’opzione migliore, perciò non consideravo quelle persone degli sciocchi. Mentre le loro urla continuavano a risuonarmi nelle orecchie, mi diressi verso l’aula del club di letteratura.

Camminai lungo il corridoio e salii fino al terzo piano. Incontrai un bidello, che stava portando una grande scala, e gli chiesi dove fosse l’aula del club. A quel punto, mi diressi verso l’aula di geografia al quarto piano.

L’istituto Kamiyama non aveva né un gran numero di studenti né una struttura troppo grande.

Il numero totale degli studenti si aggirava intorno al migliaio. La scuola forniva dei programmi per gli esami di ingresso alle università, come la maggior parte delle altre scuole, ma non era particolarmente nota per i suoi studenti accademici. Insomma, si trattava di una normale scuola superiore. Nonostante ciò, la scuola possedeva un grandissimo numero di club (ad esempio il club di idropittura o il club di canto a cappella, così come il club di letteratura classica), quindi era piuttosto famosa per il suo festival culturale annuale.

L’istituto era composto da tre grandi edifici: l’edificio dedicato alle attività generali, che ospitava le normali aule scolastiche, l’edificio dedicato a scopi speciali, che ospitava delle aule per l’appunto speciali, e infine la palestra, ma questo mi sembra abbastanza normale. C'era anche un dojo e un deposito di attrezzature sportive. Il quarto piano dell’edificio a scopi speciali, dove si trovava l’aula del club di letteratura, era relativamente tranquillo.

Mentre maledicevo quello spreco di energie, camminai attraverso un altro corridoio e salii le scale fino al quarto piano, dove trovai velocemente l’aula di geografia. Senza esitazione, provai ad aprire la porta, che si rivelò chiusa a chiave come mi aspettavo. La maggior parte delle aule a scopi speciali erano normalmente chiuse. Tirai fuori la chiave, che avevo preso in prestito in anticipo per risparmiare energie, e la inserii nella serratura.

La porta si aprì. All’interno della vuota aula di geologia, le finestre rivolte verso ovest permettevano di scorgere il tramonto. Ho per caso detto vuota? No, in realtà non era come mi aspettavo.

All'interno dell’aula di geografia, nonché l’aula del club di letteratura, c’era già una persona.

Uno studente era in piedi davanti alla finestra e guardava verso di me. Era una ragazza.

Anche se "graziosa" e "bella" non erano esattamente le prime parole che mi erano venute in mente quando la vidi, non trovavo altri termini per descriverla correttamente. Dei lunghi capelli neri scorrevano sulle sue spalle e l’uniforme scolastica le stava molto bene. Era alta per essere una ragazza, probabilmente più alta di Satoshi. Le sue labbra sottili e la figura affranta rafforzavano nella mia mente l’immagine tradizionale, che io avevo di una studentessa. Al contrario, le sue pupille erano grandi e, piuttosto che graziose, sembravano energiche.

Nonostante non ricordassi di averla mai vista, lei fece un sorriso e mi salutò: «Ciao. Tu devi essere Oreki del club di letteratura, giusto?»

«Tu chi saresti…?»

Chiesi in tono cordiale. Anche se non ero mai stato bravo a interagire con gli altri, non avevo intenzione di trattare con freddezza qualcuno che avevo incontrato per la prima volta. Nonostante io non sapessi chi fosse, la ragazza sembrava conoscermi, per qualche ragione.

«Non ti ricordi di me? Mi chiamo Chitanda, Eru Chitanda».

Eru Chitanda. Ora sapevo il suo nome, ma ancora non ricordavo nulla. Ad ogni modo, Chitanda era un cognome piuttosto raro, così come il suo nome, Eru. Possibile che mi fossi dimenticato un nome del genere?

Guardai ancora una volta la ragazza di nome Chitanda. Dopo essermi assicurato che non la conoscessi, risposi: «Scusa, credo di non ricordarmi di te».

Mantenendo il sorriso, lei scosse la testa, apparentemente confusa.

«Tu sei Oreki, giusto? Oreki Houtarou della Classe 1-B?».

Annuii.

«Io sono della classe 1-A».

Ora ti ricordi di me? Questo era quello a cui sembrava alludere... Possibile che la mia memoria facesse così schifo?

Un momento. Io sono della Classe B e lei della A, come ci eravamo potuti incontrare?

Anche se eravamo dello stesso anno, non era possibile interagire con studenti di classi differenti. L’unico modo per farlo era grazie alle attività dei club o agli amici. Io non possedevo collegamenti con entrambi. Allora forse ci eravamo incontrati a un evento che ha coinvolto l’intero corpo studenti, ma l’unico che mi veniva in mente era la cerimonia di apertura della scuola all’inizio del semestre. Inoltre, non ricordavo di essere mai stato presentato a qualcuno al di fuori della mia classe.

No, aspetta, forse mi sbagliavo. In effetti, c’era la possibilità che noi interagissimo con studenti di altre classi, durante le lezioni. Quando si trattava di utilizzare attrezzature speciali, allora era più fattibile insegnare a diverse classi contemporaneamente. Questo accadeva durante le lezioni di educazione fisica o di materie artistiche. Durante la scuola media, ci sarebbero state anche le lezioni di vocazione professionale, ma dato che quel liceo era una scuola principalmente accademica, era fuori questione. Inoltre, le lezioni di educazione fisica erano divise in base al sesso, quindi l’unica rimasta...

«Forse ci siamo incontrati durante le lezioni di musica?»

«Sì, esatto!»

Chitanda annuì profondamente con la testa.

Nonostante l'avessi capito io stesso, ero davvero sorpreso. Per il bene del mio orgoglio rimanente, devo confessare che avevo frequentato solo una di quelle lezioni facoltative da quando mi ero iscritto qui. Quindi ovviamente era impossibile per me ricordare qualsiasi faccia o nome!

Ma, d'altra parte, quella ragazza di nome Chitanda era riuscita a ricordarsi di me dopo avermi visto solo una volta, quindi ecco la prova vivente che non era esattamente impossibile... Sembrava possedere una capacità di osservazione e di memoria spaventosamente elevata.

Ma poteva anche trattarsi di una coincidenza. Dopotutto, persone diverse potrebbero attribuire significati diversi a uno stesso articolo di giornale. Riacquistai i sensi e chiesi: «Allora, Chitanda, perché ti trovi qui nell’aula di geologia?»

Lei rispose rapida: «Mi sono iscritta al club di letteratura, quindi ho pensato di venirti a salutare».

Si era iscritta al club di letteratura, in poche parole, un nuovo membro.

In quel momento, avrei voluto che lei capisse come mi sentivo. Ora che qualcuno si era unito al club, potevo dire addio al mio angolo privato e, allo stesso tempo, ero libero dagli obblighi verso mia sorella. Non avevo più motivo di entrare nel club di letteratura. Il mio cuore sospirò... Avevo fatto uno sforzo del tutto inutile. Mentre riflettevo sulla questione, chiesi: «Perché ti sei iscritta al club di letteratura?».

Non volevo far parte di quel club! Cercai di trasmettere questo messaggio implicito, all'interno della mia domanda, ma sembrava che lei non l’avesse capito.

«Be’, è per motivi personali».

Aveva persino eluso la mia domanda. Quella Eru Chitanda era piuttosto sospetta.

«E tu, Oreki?»

«Io?»

E ora come avrei dovuto rispondere? Se le avessi detto che ero venuto qui a causa di un ordine di mia sorella, non mi avrebbe di certo capito. Ma quando iniziai a pensarci, realizzai che lei non aveva bisogno di conoscere le mie ragioni.

All'improvviso, la porta si aprì e un grido esplose all'interno della stanza: «Ehi! Che ci fate voi qui?»

Era un insegnante. Probabilmente stava pattugliando l’istituto dopo l'orario scolastico. Il suo corpo muscoloso e la pelle abbronzata lo facevano sembrare un insegnante di educazione fisica. Nonostante non ne possedesse una, non sarebbe stato troppo inverosimile immaginarlo con una spada di bambù in mano. Era un po’ avanti con gli anni e la sua figura emanava una certa aria di autorità.

Dopo essere stata sgridata così all'improvviso, Chitanda indietreggiò per un attimo, ma presto tornò al suo sorriso tranquillo e andò a salutare l'insegnante.

«Buon pomeriggio, professor Morishita».

Aveva piegato la testa con la giusta velocità e angolazione, facendo un saluto praticamente perfetto. Vedendo come manteneva le buone maniere a prescindere dalla posizione in cui si trovasse, non potei fare a meno di provare invidia per lei. L'insegnante di nome Morishita rimase per un po’ in silenzio, stupito dalla cortesia della ragazza, ma presto tornò di nuovo a urlare.

«Ho notato la porta aperta, così sono venuto a vedere cosa stesse succedendo. Che ci fate in quest’aula senza permesso? Ditemi il vostro nome e la classe?»

Senza permesso?

«Sono Houtarou Oreki della Classe 1-B. A proposito, questa è l’aula del club di letteratura classica e temo che lei abbia interrotto le nostre attività».

«Il club di letteratura classica...?»

Senza nascondere i suoi sospetti, replicò: «Pensavo che fosse stato sciolto».

«Be’, lo era fino a poco tempo fa. Ha ripreso le attività questa mattina. Potrà averne conferma dal nostro insegnante supervisore, ehm...»

«Il professor Ooide».

«Sì, può chiede conferma al professor Ooide».

Una spiegazione adeguata in un momento adeguato. Morishita abbassò con rapidità il volume della voce.

«Oh, capisco. Be’, continuate quello che stavate facendo».

«Ma ci ha appena visto».

«Quando avete finito, ricordatevi di consegnare la chiave».

«Ce lo ricorderemo».

Morishita si voltò ancora una volta a guardarci, prima di chiudere bruscamente la porta. Chitanda rannicchiò il suo corpo al forte suono, ma poi sussurrò gentilmente: «È...»

«Uhm?»

«È piuttosto rumoroso per essere un insegnate».

Le sorrisi.

Ad ogni modo, non avevo più nulla da fare in quella stanza.

«Bene. Ora che abbiamo finito con le presentazioni, che ne dici di tornare a casa?»

«Eh? Non facciamo nessuna attività oggi?»

«Be’, io me ne vado».

Presi il mio zaino a tracolla, praticamente quasi vuoto, e mi girai verso l’uscita.

«Ricordati di chiudere a chiave la porta, altrimenti quell’insegnate ti sgriderà di nuovo».

«Eh?»

Stavo per uscire dall’aula di geografia, quando fui fermato dalla voce di Chitanda.

«Aspetta!»

Mi girai verso Chitanda, che mi disse, con lo sguardo inespressivo di chi sembrava aver scoperto qualcosa di incredibile: «Non posso chiudere la porta».

«Perché?»

«Perché non ho la chiave».

Oh, giusto. Io avevo la chiave. In effetti, non c'erano così tante chiavi di riserva da poter prendere in prestito. Così presi la chiave dalla tasca e la tesi verso di lei.

«Eccola. Stai attenta a... Scusa, volevo dire per favore non perderla, Chitanda».

Ma Chitanda non rispose. Rimase semplicemente ferma a fissare la chiave appesa al mio dito. Dopo un po’ di tempo, inclinò la testa e chiese: «Oreki, perché hai la chiave?»

Forse aveva qualche rotella fuori posto?

«Be’, senza una chiave non sarei potuto entrare... Aspetta un attimo, come diavolo hai fatto a entrare in questa stanza, Chitanda?»

«Quando sono entrata, la porta era aperta. Infatti, credevo che qualcun altro fosse già entrato».

Almeno che non avesse ricevuto una lettera da un membro come me, lei non avrei mai avuto modo di sapere che non c’erano altri membri nel club di letteratura classica.

«Davvero? Ma, quando sono arrivato io, la porta era chiusa a chiave».

A quanto pareva, era stato un errore da parte mia pronunciare quella frase in modo così disinvolto. L’espressione negli occhi di Chitanda cambiò all'istante e il suo sguardo divenne penetrante. Sarà stata una mia impressione, ma le sue pupille sembravano essersi ingrandite. Indifferente alla mia espressione spaventata, mi chiese lentamente: «Quando hai detto che la porta era chiusa, intendevi la porta che si trova dietro di te?»

Il suo repentino cambio di espressione mi rese confuso, ma comunque annuii. A quel punto, consapevolmente o inconsciamente, Chitanda fece un passo verso di me.

«Quindi stai dicendo che ero chiusa dentro?»


I suoni provenienti dal campo di baseball potevano essere uditi dall'esterno. Anche se non avevo più nulla da fare in quella stanza, Chitanda sembrava desiderosa di parlare ancora per un po'. Sospirai e alla fine cedetti. Misi il mio zaino a tracolla su un tavolo lì vicino.

Chitanda era stata davvero chiusa dentro? Riflettendoci, mentre Chitanda era chiusa dentro la stanza, la chiave era con me. Di certo, non ero stato io a chiudere la porta a chiave. Allora, la risposta era semplice.

«Non sei stata tu a chiudere la porta?»

Eppure, Chitanda scosse la testa e negò in modo inequivocabile.

«Non ho fatto nulla del genere».

«Ma la chiave ce l’avevo io. A parte te, chi altri può averla chiusa?»

«...»

«Be’, certe volte capita che una persona si dimentichi se ha chiuso la porta o no».

Eppure Chitanda non stava prestando attenzione alla mia spiegazione e improvvisamente puntò il dito proprio dietro di me.

«A proposito, lui è un tuo amico?»

Mi voltai e, dietro la porta leggermente socchiusa, vidi la silhouette di un’uniforme nera. Il suo sguardo si incontrò rapidamente con il mio. Ricordai di aver già visto quelli occhi marroni che sembravano sorridere, così alzai la voce e gridai: «Satoshi! Origliare le conversazioni degli altri è una cattiva abitudine!»

La porta si aprii e, come previsto, entrò nella stanza Satoshi Fukube. Senza alcuna vergogna, disse sfacciatamente: «Ok, mi dispiace. Non avevo intenzione di origliare».

«Forse non ne avevi l’intenzione, ma alla fine l'hai fatto comunque».

«Può darsi che sia così. Ma non potevo irrompere nella stanza, mentre il solito inattivo Houtarou stava trascorrere del tempo di qualità da solo con una ragazza, in un’aula illuminata dalla luce del tramonto. Non volevo essere cacciato».

Di cosa stava parlando?

«Pensavo che te ne fossi già andato a casa».

«Stavo per farlo, ma poi ti ho visto dal piano di sotto con questa ragazza. Credo di essere ancora inesperto come spia».

Ignorai il commento di Satoshi sul fatto di averci visto dal piano di sotto. D'altronde, si trattava del suo solito modo di scherzare. Eppure, ero sicuro che una persona qualunque, non abituata a quel genere di battute, ci sarebbe probabilmente cascata sul serio.

Perfino Chitanda sembrava averci creduto.

«Ecco, io...»

La sua espressione calma di qualche secondo fa era scomparsa, sostituita da uno sguardo agitato. Sembrava indossare le proprie espressioni come se fossero una maschera e quello sguardo nervoso, in particolare, voleva dire: "Guarda, in questo momento mi sento agitata". Anche se era divertente guardarla in quello stato, non volevo che la situazione andasse avanti.

Fortunatamente, per esporre gli scherzi di Satoshi, tutto quello che dovevi fare era chiedergli: «Sei serio?»

«Certo che no».

Phew. Chitanda tirò un sospiro di sollievo. Il motto di Satoshi era: «Il gioco è bello quando dura poco. Se viene frainteso, allora diventa una bugia».

Dopo essersi ripresa dallo scherzo di Satoshi, Chitanda chiese un po' stanca: «Oreki, lui chi è…?»

Capii di doverle presentare Satoshi, o non saremmo arrivati da nessuna parte. Dissi brevemente: «Oh, lui? Questo è Satoshi Fukube, un finto "uomo di mondo"».

«Finto?»

Quell'introduzione, a mio avviso molto adeguata, sembrava essere piaciuta anche a Satoshi.

«Ah ah, ottima presentazione, Houtarou. Piacere di conoscerti. E tu, come ti chiami?»

«Chitanda, Eru Chitanda».

Dopo aver sentito il nome di Chitanda, Satoshi ebbe una reazione inaspettata. Era la prima volta, in realtà, che lo vidi rimanere senza parole. Si trattava di un caso rarissimo per una persona così loquace come lui.

«Chi-Chitanda? Quella Chitanda?».

«Hmm? Non so a quale Chitanda ti riferisci, ma credo di essere l'unica a scuola con questo nome».

«Allora deve essere così. Sono sorpreso».

La sorpresa di Satoshi era genuina. E se lui era sorpreso, allora avrei dovuto esserlo anch'io. D’altro canto, questo ragazzo aveva una straordinaria capacità nello scoprire qualsiasi tipo di informazione. Eppure, cosa lo aveva reso così sorpreso? Non riuscivo neanche a immaginarlo.

«Ehi, Satoshi, cosa stai blaterando?»

«Cosa sto blaterando? So che non sei molto informato, ma come fai a non aver mai sentito parlare della famiglia Chitanda?»

«Che ha di speciale questa famiglia?»

Satoshi annuii soddisfatto e inizio a spiegare.

«A Kamiyama, ci sono diverse vecchie famiglie prestigiose e le più importanti sono le quattro "Famiglie Esponenziali". La famiglia Juumonji (十 文 字), che gestisce il Tempio Arekusu, la famiglia Sarusuberi (百 日 紅), proprietaria della libreria, la famiglia Chitanda (千 反 田) con la loro grande azienda agricola e, infine, la famiglia Manninbashi (万 人 橋), proprietaria dei terreni sul versante della montagna. Il primo carattere kanji dei loro cognomi rappresenta un esponente del numero dieci (十 百 千 万), ecco perché sono chiamate le "Famiglie Esponenziali". Le uniche famiglie in grado di rivaleggiare con loro sono la famiglia Irisu, che gestisce l'ospedale locale, e la famiglia Toogaito, che opera nel campo dell’istruzione».

Sbattei le palpebre sorpreso e chiesi: «Le quattro famiglie? Satoshi, stai dicendo sul serio?»

«Che maleducato. Ti sembra che abbia mai mentito su cose di questo genere?»

Quando Satoshi diceva che era la verità, allora era più probabile che non stesse mentendo. Tuttavia, delle famiglie così prestigiose sono davvero rare al giorno d’oggi. Mentre Satoshi era ancora accigliato, Chitanda venne in suo aiuto.

«Ehm, quelle storie le ho già sentite prima, ma non credo che la mia famiglia sia poi così famosa».

«Allora è la verità?»

«Ma questa è la prima volta che sento parlare delle "Famiglie Esponenziali"».

Spostai il mio sguardo verso Satoshi, che si limitò ad alzare le spalle.

«Non ho detto che stavo mentendo».

«Quindi è una tua invenzione?»

«Be’, una volta tanto, piacerebbe anche a me diffondere delle leggende».

Come ad indicare la fine della discussione, Satoshi batte le mani e disse: «Ad ogni modo, Houtarou, avete avuto qualche problema?»

Sembrava curioso. Gli spiegai quindi tutti i dettagli di quella storia lunghissima, nel modo più breve possibile.


Si stava facendo buio, così Chitanda dovette accendere le luci.

Dopo aver ascoltato la storia, Satoshi incrociò le braccia ed emise un gemito.

«Uhm, un caso strano».

«Cosa vuoi dire? Chitanda si è semplicemente dimenticata di aver chiuso la porta».

«No, questo caso è davvero strano».

Satoshi sciolse le braccia e batté le mani.

«Ultimamente, le scuole stanno gestendo i loro istituti in modo molto esigente e il Kamiyama non fa eccezione. In caso non l'abbiate notato, nessuna delle aule può essere chiusa dall'interno. Lo scopo è quello di impedire agli studenti di svolgere attività sospette».

Dopo Satoshi aveva concluso la spiegazione, un sospetto si sollevò nella mia testa. Satoshi era particolarmente bravo nello scovare informazioni inutili, ma non ne stava scoprendo un po' troppe? D’altro canto, era in quella scuola da meno di un mese.

«Come fai a sapere tutte queste cose?»

«La scorsa settimana, stavo provando a nascondermi in un’aula per fare un esperimento, ma poi ho scoperto che non potevo chiudere la porta dall'interno».

«Sai? Credo che la scuola abbia progettato le porte proprio per impedire, specificamente a quelli come te, di fare "qualcosa di sospetto"».

«Be’, è probabile».

«Puoi scommetterci».

Scoppiamo a ridere entrambi. Le nostre risate secche fecero indietreggiare Chitanda di un passo. Avendolo notato, mi schiarii la gola e dissi: «Forse la serratura ha qualcosa che non va. Si sta facendo buio, quindi torno a casa».

Mi alzai dal tavolo su cui ero seduto.

In quel momento, sentii qualcuno afferrarmi la spalla. Mi voltai e vidi Chitanda che, in qualche modo, si era avvicinata da dietro senza che me ne accorgessi.

«Aspetta, per favore!»

«E adesso cosa vuoi?»

«Sono curiosa».

Trasalii dopo aver visto la faccia di Chitanda così vicina alla mia.

«Quindi?»

«Perché la porta era chiusa a chiave? …E se davvero era chiusa, allora come ho fatto ad entrare?»

Lo sguardo di Chitanda aveva una sorta di potere in grado di rifiutare qualsiasi risposta sciocca. Sentendomi sopraffatto, risposi docilmente: «Cosa vuoi sapere?»

«Anche se ci fosse stato un errore con le chiavi, da chi è stato commesso? E perché alla fine mi hanno chiusa dentro?»

«Forse la serratura è rotta…»

«Sono davvero curiosa» disse mentre si avvicinava ancora di più verso di me, costringendomi a fare un passo indietro.

All'inizio, pensavo che Chitanda fosse una ragazza graziosa, ma quella era solo una mia prima impressione, basata sul suo aspetto. Finalmente, stavo guardando la vera Chitanda. A riflettere la sua vera natura, erano soprattutto i suoi grandi occhi energici, in netto contrasto con il suo aspetto generale. La semplice frase "sono curiosa" rendeva questa ragazza l’incarnazione stessa della curiosità.

«Com’è accaduto tutto questo? Oreki, e anche Fukube, mi aiuterete a scoprirlo?»

«Perché dovrei…»

«Be’, sembra interessante» mi interruppe Satoshi, accettando prontamente la sfida. C’era da aspettarselo da uno come lui, ma ad ogni modo «Io torno a casa. Non sono interessato».

Per me si trattava di un inutile spreco di energia, che non volevo assolutamente compiere.

Eppure, Satoshi, che avrebbe dovuto conoscere benissimo il mio modus operandi, disse: «Oh, andiamo, Houtarou, aiutaci anche tu. Lo farei io se potessi, ma non riesco ad arrivare a nessuna conclusione logica, basandomi solo sul mio database».

«Che stupidaggine, io…»

Stavo per concludere la frase, quando vidi Satoshi guardare in direzione di Chitanda. Mi voltai anch'io.

«Uh…»

Lei mi stava fissando con la bocca chiusa a forza e le mani che stringevano la gonna. Inconsciamente feci un altro passo indietro. La sua personalità era talmente intensa che persino mia sorella non sarebbe riuscita a competerle. Quello di Satoshi era un avvertimento: Credo che sia meglio dare retta ai suoi capricci.

Alternai il mio sguardo tra Chitanda e Satoshi. Alla fine, annuii leggermente verso Satoshi e seguii il suo consiglio. Altrimenti, un mare di disgrazie si sarebbe abbattuto su di noi.

«In effetti, mi sembra davvero interessante. Credo che ci rifletterò su» dissi in tono impassibile, dato che ormai non avevo altra scelta.

Dopo aver ascoltato la mia risposta, Chitanda rilassò il suo sguardo.

«Oreki, hai già pensato a una soluzione?»

«Aspetta e vedrai. Houtarou è un tipo a cui piace riflettere prima di agire, ma una volta che ha messo insieme tutti i pezzi, è in grado di portare a termine qualsiasi compito».

Satoshi si stava dimostrando un po’ troppo loquace. Tuttavia, ero d’accordo sul fatto che muoversi prima di pensare non portava mai a nulla di buono.

Così, iniziai a riflettere sull’accaduto.


Quando Chitanda era entrata, la porta era aperta. Eppure, quando ero arrivato io, l’aula era chiaramente chiusa.

Se Satoshi stava dicendo il vero, allora Chitanda non poteva aver chiuso la porta dall'interno. Tuttavia, piuttosto che una ragione così arbitraria, quello poteva essere il risultato di un'azione inconscia. Magari la porta si trovava in uno stato a metà tra il chiuso e l’aperto, così quando Chitanda era entrata nella stanza, la serratura si era in qualche modo innescata, causando la chiusura della porta.

Dopo aver spiegato la mia teoria, Chitanda inclinò la testa pensierosa, ma Satoshi intervenne immediatamente.

«È impossibile. Il design delle porte del Kamiyama non permette che si crei una situazione del genere. Altrimenti, la chiave non sarebbe uscita dalla serratura».

Non c’era una via di mezzo, uh?

Allora la porta doveva essere stata chiusa consapevolmente da qualcuno. Così chiesi: «Ti ricordi a che ora sei entrata in quest’aula?»

Chitanda ci pensò per un attimo e poi disse: «Circa tre minuti prima di te, credo».

Tre minuti erano davvero pochi, considerando che l’aula di geologia si trovava nell'angolo più remoto dell’istituto.

Il mistero stava diventando complesso... Ricominciai a pensare, quando Chitanda improvvisamente gridò: «Ah!»

«Che succede, Chitanda?»

«Ora che ci penso, chi altro ha le chiavi?»

«Eh? Chi?»

Chitanda aveva uno sguardo gioioso sul volto... Per qualche ragione, avevo un brutto presentimento. Come previsto, la ragazza si voltò verso di me e disse: «Ovviamente, Oreki ne ha una».

Proprio come pensavo. Tuttavia, invece di concludere la sua buona deduzione, si rese conto di qualcosa e disse: «Ah, ma è possibile? Oreki è davvero una persona affidabile?»

Stava dicendo quelle cose proprio davanti al diretto interessato… Rimasi senza parole. Satoshi iniziò a ridere e disse: «Be’, non so se Houtarou possa essere definito affidabile, ma di certo non è il tipo di persona che si divertirebbe a chiuderti dentro. Non ha niente da guadagnarci, dopotutto».

Aveva ragione. Se qualcosa non mi procurava un beneficio, allora non l’avrei mai fatta.

Non ero stato io a chiudere la porta a chiave.

Quindi… chi era il colpevole?

Non riuscivo a capirlo, così continuai a grattarmi la testa.

Non avevo nessun’idea. Anche se mi sentivo un po’ in colpa, chiesi: «Per caso hai qualche indizio?»

«Indizio? Cosa intendi?»

Aveva risposto alla mia domanda con un'altra domanda.

«Un indizio è un indizio».

Satoshi mi aiutò ad elaborare una spiegazione enormemente semplificata.

«Hai notato qualcosa di strano o di insolito, Chitanda?»

«Hmm, ora che ci penso...»

C'era qualcosa di strano? Anche se non mi aspettavo nessuna risposta utile, Chitanda diede un’occhiata all’aula di geografia, prima di volgere lo sguardo verso il basso e dire piano: «Poco fa, ho sentito dei rumori provenire da sotto i miei piedi».

Rumori?

Quindi era stata una persona a chiudere la porta a chiave? Non ne avevo idea.

No… Forse era davvero così.

In qualche modo, ero arrivato a una conclusione. Satoshi notò la mia espressione e disse: «Houtarou, sembra che tu abbia capito qualcosa».

Presi il mio zaino senza dire una parola.

«Dove stai andando, Oreki?»

«Se siamo fortunati, assisteremo alla ricostruzione della scena del crimine».

Chitanda iniziò freneticamente a seguirmi, mentre Satoshi si trovava senza dubbio dietro di lei.


Era già abbastanza tardi e l'orario di chiusura si stava avvicinando. Guardando fuori, si poteva scorgere la squadra di baseball riordinare le varie attrezzature. Chitanda e Satoshi, che avrei già dovuto lasciare molto tempo prima, mi stavano accompagnando o, per meglio dire, mi stavano seguendo.

Chitanda camminava al mio fianco e chiese: «Perché non vuoi dirci come hai fatto a capirlo così velocemente?»

Anche Satoshi parlò da dietro: «Sai, credo che abbia ragione. Non dovrebbero esserci segreti tra noi».

Non smettevano di ripetere cose del genere. Senza girarmi, dissi: «Non è un segreto. La soluzione è così semplice che non sono necessarie spiegazioni».

«Forse è semplice per te, Oreki, ma io continuo a non capire».

Chitanda mise il broncio... Spiegare tutto era una seccatura, tuttavia anche eludere le domande era uno spreco di energie. Raddrizzai il mio zaino a tracolla e mi chiesi da dove avrei dovuto cominciare.

«Va bene, e se ti dicessi che sei stata chiusa dentro da qualcuno usando un passe-partout?»

Appena dissi quella cosa, che per me era un dato di fatto, Chitanda pronunciò un tono di sorpresa. A quanto pareva, la spiegazione doveva iniziare da quel punto.

«Ehh? Com’è possibile?»

«L’aula di geologia si trova in un angolo remoto dell’istituto. Se qualcuno ti avesse chiusa dentro usando la chiave normale, avrebbe dovuto riportarla alla stanza del personale, prima che io la prendessi. Per fare una cosa del genere, tre minuti sarebbero troppo pochi».

«Capisco. Quindi il colpevole deve aver usato un'altra chiave e, dato che la chiave normale è solo una, il passe-partout è l’unica opzione.»

Esatto. Naturalmente, il passe-partout non poteva di norma essere usato da degli studenti, ma eravamo in possesso di un’informazione decisiva.

«Chitanda, hai detto di aver sentito dei rumori sotto ai tuoi piedi, giusto?»

«Sì».

«Se il suono proviene dal pavimento del quarto piano, di solito a che conclusione arriveresti?»

Satoshi, che sembrava piuttosto rilassato, rispose: «Penserei che il suono proviene dal soffitto del terzo piano».

«Giusto, e ora vi trovate davanti alla persona che ha utilizzato il passe-partout».

Dopo l'ora di lezione, l'unica persona che aggiustava delle cose sui soffitti delle aule era...

«Incredibile. Sei riuscito a capire che era il bidello» disse Chitanda, mentre annuiva entusiasta.

La persona che stavamo guardando al terzo piano era il bidello. Portava con sé una grande scala e, quando uscì da un'aula, la appoggiò sul pavimento per prendere una chiave dalla sua tasca. Proprio davanti ai nostri occhi, cominciò a chiudere le porte delle aule del terzo piano una ad una. In parole povere, prima di tutto aveva aperto le porte di tutte le aule per fare quello che doveva fare e, una volta terminato, le aveva richiuse tutte in una volta. Se qualcuno fosse entrato nelle aule quando le porte erano aperte, allora il povero malcapitato sarebbe rimasto chiuso dentro… Proprio come Chitanda.

Non avevo idea di cosa stesse facendo il bidello. Visto che entrava in tutte aule portandosi una scala, probabilmente stava cambiando le lampadine o controllando gli allarmi antincendio. In ogni caso, il mistero era stato ampiamente risolto.

Il caso è chiuso.

«Visto? Te l’avevo detto che, una volta messi insieme i pezzi, Houtarou ci sarebbe riuscito».

«Hai ragione. È stato incredibile».

Non mi sentivo poi così incredibile... Dopotutto, era stato Satoshi a parlarmi del funzionamento delle porte, mentre era stata Chitanda a notare i rumori provenienti dal piano di sotto. E io che stavo pianificando per tutto il tempo di fare lo scemo... Oh, be’, potevano pensare quello che volevano su di me. Nonostante fossi stato costretto a risolvere tutti quei problemi, dopo aver guardato Chitanda e l’onesta ammirazione riflessa nei suoi occhi, finii per ingoiare tutte le lamentele che avrei voluto fare. «Comunque, non capisco ancora come tu non abbia sentito il rumore della serratura, quando sei stata chiusa dentro».

Stranamente, Chitanda non la prese come una critica o sarcasmo, e semplicemente sorrise.

«Be’, posso spiegarlo. Stavo... Sì, stavo guardando quell'edificio dalla finestra» disse, indicando il dojo della nostra scuola sul ciglio della strada.

L’edificio in legno aveva un aspetto squallido e consumato, a causa della continua esposizione agli elementi atmosferici per così tanti anni. Prendendo esempio da Chitanda, esposi la mia sincera opinione: «Quell'edificio sembra proprio averti ipnotizzata».

«No, semplicemente trovo che sia piuttosto misterioso».

«Hmm».

Non capivo come quel edificio potesse essere definito misterioso, ma Satoshi sembrava aver capito qualcosa e mormorò: «Be’, sembra particolarmente antico».

«In effetti lo è».

Sul serio? Possibile che si fosse distratta guardando un edificio così vecchio? Non sapevo se definirla una ragazza elegante o con la testa tra le nuvole.

Dopo un po’, ci imbattemmo in un semaforo rosso. Come noi, c'erano tanti altri studenti che stavano tornando a casa.

«A proposito, non ci siamo ancora presentati come si deve» disse piano Chitanda.

«Presentati?»

«Esatto. Dopotutto, da oggi iniziano le attività del club di letteratura. Cerchiamo di divertirci».

Il club di letteratura! Me n’ero completamente dimenticato! Dovevo solo dare un'occhiata all'aula del club, ma era stato del tutto inutile, visto che Chitanda si era già iscritta... Ormai era tutto col senno di poi. Infatti, avevo già presentato la mia domanda di iscrizione e, in quella scuola, era impossibile lasciare un club senza averlo frequentato almeno per un mese.

Abbassai la testa frustrato, mentre Chitanda si voltò per sorridere a Satoshi.

«Ti unisci anche tu al club, Fukube?»

Satoshi incrociò le braccia dando l’impressione che ci stesse pensando, ma molto presto rispose: «Be’, sembra interessante. Va bene, ci sto».

«È un piacere conoscerti, Fukube».

«No, il piacere è tutto mio... Piacere di conoscere anche te, Houtarou».

Guardai in modo beffardo Satoshi, che aveva deciso di fare l’idiota.

Quando il semaforo diventò verde, ricominciammo a camminare. Infilando la mano nella tasca, sentii al tatto la lettera di mia sorella. Da quando mi era arrivata quella lettera da Tomoe, avevo la sensazione che qualcosa si fosse messo in moto.

Eri felice, sorellona? Finalmente il club di letteratura, che rappresentava la tua gioventù, aveva tre nuovi membri. Il club di letteratura classica era rinato. Quello fu probabilmente anche un addio ai miei giorni passati a risparmiare energie. Se vi chiedete il perché...

«Ah, giusto, non abbiamo ancora deciso chi sarà il presidente. Che facciamo?»

«Hai ragione. Direi che Houtarou non è assolutamente adatto a fare il presidente di un club».

Quei due probabilmente non avrebbero mai sopportato i miei metodi per risparmiare energie. Se fosse stato solo Satoshi, allora avrei potuto gestirlo in qualche modo, ma il problema principale era...

I nostri occhi si incontrarono. Eru Chitanda sorrise con i suoi grandi occhi.

Il problema principale era quella ragazza. Avevo una strana sensazione a riguardo.



3 - Le Attività del Prestigioso Club di Letteratura[edit]

Mi era venuta in mente una domanda: cosa si faceva in un club di letteratura? Gli unici studenti, che avrebbero saputo la risposta, ormai non frequentavano più la scuola e non mi andava di chiedere agli insegnanti. Avrei potuto chiederlo a mia sorella, ma purtroppo era a Beirut. Nonostante fosse raro trovare un club che non sapesse cosa fare, non valeva la pena preoccuparsene. D’altro canto, esistevano un sacco di altri club il cui motivo della loro esistenza poteva essere classificato solo come un mistero.

Era passato un mese dal giorno in cui il club di letteratura era rinato. L’aula di geografia non era più un angolo privato, ma rimaneva pur sempre un luogo rilassante, perfetto per ammazzare il tempo, ogni volta che mi annoiavo dopo le lezioni. Al suo interno potevano esserci Satoshi, Chitanda, entrambi oppure nessuno dei due, tuttavia l’atmosfera non cambiava. Potevamo scegliere di chiacchierare oppure di rimanere in silenzio. Infatti, Satoshi era il genere di persona che riusciva tranquillamente a sopportarlo e la tranquillità si addiceva bene anche a una ragazza graziosa come Chitanda, purché la sua curiosità non esplodesse. Pertanto, il nostro assomigliava più a un club per il tempo libero piuttosto che a un vero e proprio club scolastico.

Anche se Satoshi credeva il contrario, in realtà la presenza intorno a me di altre persone non mi aveva mai infastidito. Pertanto, la compagnia di lui e Chitanda non mi dispiaceva.

Durante una giornata piovosa, mi trovavo nell’aula del club insieme a Chitanda. Ero seduto su una sedia vicino alla finestra, mentre leggevo un libro tascabile piuttosto economico. Chitanda, invece, era seduta nella parte anteriore della stanza e, per qualche motivo, leggeva un libro molto spesso. Insomma, quello sembrava uno di quei classici pomeriggi fiacchi dopo le lezioni.

Guardando l'orologio, notai che erano passati solo 30 minuti. Non era trascorso molto tempo. Dire che fossi rilassato, in realtà, non era esattamente corretto. Piuttosto, il fatto che stessi entrando in uno stato di pace e tranquillità mi rendeva nervoso. Infatti, stavo consapevolmente cercando di risparmiare energie per il maggior tempo possibile, tutto qui.

Il silenzio era rotto solamente dal suono delle pagine che giravano e dalle gocce di pioggia fuori.

«...»

Mi sentivo stanco, così stavo programmando di tornare a casa non appena avesse smesso di piovere.

"Tonf". Sentii il suono di un libro che veniva chiuso. A quel punto, Chitanda, che sedeva con la schiena rivolta verso di me, sospirò e disse:

«È stato davvero poco produttivo».

Anche se non mi guardava, era chiaro che stesse parlando con me piuttosto che con sé stessa. Tuttavia, non sapevo come rispondere al suo commento improvviso. Allora, provai a chiedere: «Ti riferisci al raccolto della fattoria di famiglia?»

«La nostra fattoria ha due terreni».

Chitanda si girò verso di me e disse come se stesse leggendo: «E sono semestrali, quindi difficilmente sono poco produttivi[4]».

«C’era da aspettarselo da una figlia di proprietari agricoli».

«Non è necessario elogiarmi…»

Ci fu un breve silenzio, seguito dal suono della pioggia.

«No, non era quello che intendevo».

«Ma stavi parlando di qualcosa di "poco produttivo"».

«Sì. Infatti è stato poco produttivo».

«Cosa intendi?»

Chitanda mi fissò intensamente e poi alzò il braccio destro, indicando l'intera stanza.

«Mi riferisco a tutto il tempo che abbiamo trascorso dopo le lezioni. Non abbiamo uno scopo preciso e non stiamo facendo assolutamente nulla di produttivo».

Frequentare il club era solo un modo per ammazzare il tempo e non di certo per fare qualcosa di produttivo. Chiusi il libro che stavo leggendo e guardai verso Chitanda.

«Bene, sono tutto orecchie. Tu cosa faresti in un club di letteratura?»

«Io?»

Spesso le persone non si rendono conto di quello che loro stesse dicono, per questo feci quella domanda diretta e un po’ meschina. Ad ogni modo, io non desideravo fare nulla.

Chitanda rispose senza esitazione: «Un sacco di cose».

«Hmm».

Rimasi sorpreso. Aveva risposto rapidamente. Stavo per chiedere che tipo di attività avesse intenzione di fare, quando lei disse: «Ma è per motivi personali».

In quel caso, non erano necessarie ulteriori domande.

Poi Chitanda continuò:

«Stiamo parlando di un club di letteratura, quindi dovremmo fare delle attività che in qualche modo siano correlate al club. Non possiamo stare seduti a non fare nulla».

«Molto bene, ma ancora non sappiamo quale sia lo scopo del club».

«No, abbiamo uno scopo».

Con l’aria autoritaria di un presidente di un club o con quella di un membro di una famiglia prestigiosa, Chitanda dichiarò: «Pubblicheremo un articolo per il festival culturale di ottobre».

Il festival culturale?

Avevo già visitato il festival culturale del Kamiyama in passato e lo conoscevo abbastanza bene. In breve, si poteva descrivere come l'essenza stessa della cultura giovanile, concentrata in un’unica area. Secondo Satoshi, la cerimonia del tè, che si teneva al festival, era altamente consigliata per chiunque fosse interessato alle arti, mentre il concorso di break dance era un focolaio per tutti i futuri professionisti. Partecipavano anche un gran numero di club di varie tipologie. Durante i suoi tre anni di liceo, ricordo di aver visto mia sorella portare a scuola un mucchio di articoli.

Per così dire, il festival era la cristallizzazione della "rosea" vita liceale. Per quanto riguarda i miei sentimenti personali, credevo fosse meglio per me non dire nulla. Diciamo solo che non provavo un particolare risentimento.

Ad ogni modo, un articolo, eh? Stavo riflettendo sulla proposta di Chitanda, quando a un certo punto mi venne in mente una domanda: «Chitanda, scrivere un articolo è solo un risultato finale e non lo scopo vero e proprio del club, giusto?»

Chitanda scosse la testa e rispose: «No, ma se lo scopo del club fosse quello di scrivere un articolo, allora creando il risultato potremmo raggiungere uno scopo».

«Cosa?»

«Come ho appena detto, se il risultato fosse" lo scopo, allora tutto quello che dovremmo fare sarebbe puntare al risultato, giusto?»

Hmm. Alzai le sopracciglia, quando capii cosa stesse cercando di dirmi. Ma quella non era una tautologia?

Comunque, scrivere un articolo era una seccatura. Non potevo dire con certezza se ad infastidirmi fossero gli articolo, o qualsiasi altra attività che richiedesse una certa abilità nello scrivere, ma non farlo era di sicuro la scelta migliore. Che si trattasse dello scopo o dell'attività in sé, entrambe richiedevano tempo e fatica. Tutto questo si traduceva in uno spreco di energie.

«Scrivere un articolo è troppo faticoso. Inoltre... Tre autori sono un po' troppi».

Eppure, Chitanda continuò a insistere sulla sua proposta.

«No, dobbiamo scrivere un articolo».

«Se proprio ci tieni a partecipare, allora possiamo allestire una bancarella o qualcosa di simile».

«Le bancarelle non sono consentite al festival del Kamiyama. Quindi, no, dobbiamo scrivere un articolo».

«Perché…?»

«Il budget del nostro club fa preciso riferimento alla "pubblicazione di un articolo". Sarebbe problematico se non lo facessimo».

Chitanda tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta ben piegato e me lo mostrò. In effetti, il budget annuale del club di letteratura di quell'anno era stato specificatamente assegnato allo scopo di "pubblicare un articolo".

«Tra l’altro, anche il professor Ooide ci ha chiesto di pubblicarlo. Quella dell’articolo è ormai una tradizione che dura da oltre 30 anni e non vuole che venga interrotta».

«...»

La regola generale dichiara che le persone ragionevoli tendono ad essere intelligenti, tuttavia questo non significa che le persone irragionevoli siano invece stupide. Chitanda non era affatto stupida, eppure era chiaramente irragionevole. Per cominciare, lei aveva fatto appello al lato sentimentale della situazione, piuttosto che a quello economico, e aveva deciso l'attività del club solo sulla base della tradizione. Alla fine, capii che criticare era qualcosa di inutile, così sorrisi amaramente e cedetti: «Ok, ok. Pubblicheremo un articolo».

Così, terminarono senza troppe cerimonie i miei giorni spensierati senza scopo. Perlomeno, ero ancora in buona salute.

Fuori stava ancora piovendo. Dato che non era ancora il momento giusto per tornare a casa, decisi di chiedere: «Allora, come scriveremo questa antologia?»

«Come? Cosa intendi?»

«Di cosa parlavano le antologie degli anni scorsi?»

Anche se era improbabile, mi ero ormai rassegnato all'idea di dover scrivere una sorta di saggio accademico con titoli simili a "Recensione delle Cronache degli Otto Cani[5]", "Racconti di Pioggia e di Luna[6] - Il ruolo dell'imperatore ne Il Picco Bianco[7]" o "Il Grande Specchio[8] – Cambiamenti sociali all'interno del romanzo e confutazione dell’antologia dello scorso anno". Per sicurezza, avrei dovuto includere anche un'appendice. In ogni caso, sapevo benissimo che non sarei riuscito a scrivere qualcosa, in grado di eguagliare i lavori degli anni precedenti. Tuttavia, per iniziare a buttare giù qualche idea, avevo bisogno di sapere i temi che venivano trattati in questa cosiddetta tradizione.

Ricevetti però una risposta negativa.

«Hmm, non ne sono sicura. Mi chiedo cosa dovremmo scrivere...»

Come immaginavo. Nonostante Chitanda fosse la nostra presidentessa, anche lei faceva parte del club da poco più di un mese.

«Se riuscissimo a trovare i vecchi volumi, credo che potremmo scoprirlo».

«Dovrebbero trovarsi da qualche parte a scuola. Secondo te, dove potrebbero essere?»

«Nell'aula del club?»

Non potevo crederci.

Stare al passo con il ritmo dei suoi pensieri mi faceva sentire patetico. Indicai prontamente il pavimento con il dito, cercando di aiutarla.

«... Ah! È questa l’aula del club».

Esattamente.

«Ma allo stesso tempo non lo sembra...»

In effetti aveva ragione.

Oltre alle normali attrezzature didattiche, l’aula di geologia non aveva nient'altro al suo interno. Tutto quello che si poteva vedere erano la lavagna, i tavoli, le sedie e l’attrezzatura per la pulizia. Insomma, si trattava di una normale aula. Non c'era nessun posto dove i libri potessero essere conservati.

«A quanto pare, i vecchi volume non si trovano in questa stanza».

«Così sembra».

«Allora… proviamo con la biblioteca?»

Mi sembrava una buona soluzione, così annuii. Chitanda prese il suo zaino e si alzò.

«Andiamo».

Senza nemmeno aspettare la mia risposta, aprì la porta e uscì. Era piuttosto energica per essere una ragazza così elegante. Oh be’, la biblioteca si trovava lungo il percorso verso l’uscita e non era troppo lontana dall’aula del club.

No, un attimo. Quel giorno era venerdì, questo significava che ad occuparsi della biblioteca era...



«Guarda chi si rivede. È passato un po' di tempo dall’ultima volta, ma non mi sei mancato per nulla, Oreki».

Appena entrai in biblioteca, fui immediatamente accolto con sarcasmo. Come mi aspettavo, la persona seduta dietro il bancone era proprio Mayaka Ibara.

Io e Ibara ci conoscevamo da molto tempo, poiché fin dalle elementari siamo stati nella stessa classe per ben nove anni di fila. I suoi lineamenti infantili la caratterizzavano fin dall'infanzia ed erano cresciuti di poco, solo dopo essere diventata una studentessa delle superiori. Il suo aspetto bambinesco e la bassa statura la rendevano piuttosto carina, ma non dovevate farvi ingannare, perché lei portava sempre con sé un'arma nascosta. Se abbassavate la guardia anche per un solo secondo, venivate massacrati dalla sua colorata miscela di sarcasmo. Mi era stato persino detto di stare alla larga da lei, a causa delle storie di numerosi ragazzi che, ingannati dal suo bell'aspetto, finivano per essere umiliati all'istante. Tra l’altro, Ibara non ammetteva mai i suoi errori e quindi molte persone la scambiavano per una ragazza insensibile.

Personalmente, non davo retta a questo genere di valutazioni sul suo conto.

Feci l'espressione più sgradevole che riuscissi a fare e risposi: «Ehi, sono solo venuto a farti visita».

«Questo posto è la sacra terra della cultura, non può essere visitata da persone come te».

Ibara era seduta a gambe incrociate sulla sedia dietro il bancone. Dal momento che il compito di un bibliotecario è quello di gestire i libri dati in prestito e poi restituiti, sembrava non avesse nient’altro da fare. Tuttavia, un’altra delle sue principali responsabilità era quella di risistemare sugli scaffali tutti i libri restituiti, e la scatola che li conteneva era evidentemente ancora piena. Ibara non era tipo di persona a cui piaceva oziare, quindi probabilmente stava aspettando di riceverne altri, in modo da sistemarli tutti in una volta. Nella sua mano teneva un grosso libro, che sicuramente leggeva per ammazzare il tempo.

In quel momento, la biblioteca era piuttosto affollata. Al suo interno, c'erano circa dieci tavoli e ciascuno di essi era occupato da uno o due studenti che leggevano. Alcuni stavano effettivamente leggendo per passare il tempo libero, ma sospettavo che altri lo stessero facendo in attesa che la pioggia smettesse. Notai che uno dei ragazzi ci stava osservando. Lo riconobbi subito, dato che era Satoshi Fukube.

Lo sguardo di Satoshi incontrò il mio e lui si alzò con il solito sorriso sulla faccia.

«Ehi, Houtarou, non mi aspettavo di incontrarti qui».

Ibara ci guardò con una faccia imbronciata e disse: «Vedo che siete ancora buoni amici. C’era da aspettare dalla coppia numero uno della scuola media Kaburaya».

Sapevo che era inutile discutere con lei, ma comunque dissi: «Stai zitta».

Ibara rispose categorica: «Sei proprio un piagnucolone per essere una persona così malinconica».

Un piagnucolone…?

Poi si girò verso Satoshi con un'espressione composta: «Ad ogni modo, Fuku, tu conosci i miei veri sentimenti, quindi dovresti aver capito che stavo scherzando, vero?»

«Ahh, non preoccuparti di quello, Mayaka. Non mi sono offeso».

«Cosa? Hai intenzione di perdonarla così facilmente nonostante tutto quello che ha detto?»

Satoshi mi guardò per un attimo e poi distolse lo sguardo. Sorrisi amaramente, anche perché sapevo che Ibara era innamorata di lui da tempo. Non avevo idea di quando tutto fosse iniziato, ma, in ogni caso, Satoshi continuava da allora a evitare le sue dichiarazioni d’amore.

Satoshi fece finta di tossire, tentando di cambiare argomento.

«Comunque, perché siete venuti in biblioteca?»

Ah, giusto, non ero venuto in biblioteca solo per salutare Ibara. Esortai Chitanda a dire qualcosa. Come se soffrisse di panico da palcoscenico, la ragazza con aria nervosa disse a Ibara: «Uh, ehm, ciao. Posso chiederti una cosa?»

«Certo, come posso aiutarti?»

«Volevo sapere se ci fossero delle antologie qui in biblioteca».

«Sì, sono su quelli scaffali laggiù».

«Ci sono anche le antologie realizzate dal club di letteratura?»

Ibara inclinò pensierosa la testa e disse: «Il club di letteratura? Hmm… mi dispiace, non ne sono sicura. Se vuoi, posso cercarli io per te».

Chitanda stava per esprimere la sua gratitudine, quando Satoshi la interruppe all'improvviso.

«Non troverete nulla. Mi è già capitato di controllare quelli scaffali, quindi le avrei notate. Mayaka, ci sono altri posti in cui potremmo cercare oltre a quelli scaffali?»

«Hmm, se non sono sugli scaffali, allora potrebbero trovarsi nell'archivio».

«Nell'archivio?»

Satoshi ci pensò per un attimo e poi chiese: «Chitanda, perché stai cercando delle antologie?»

«Ne pubblicheremo una per il festival culturale, così abbiamo pensato di dare un'occhiata ai numeri arretrati per avere un punto di riferimento».

«Oh, quindi sono per il festival Kanya, eh? Vedo che sei piuttosto informato su questo genere di cose, Houtarou».

Informato? Piuttosto, quelle informazioni mi erano state imposte con la forza. Inoltre, Chitanda non aveva di certo bisogno di me per essere informata.

Aspetta, qual era il nome del festival?

«Satoshi, come hai appena chiamato il festival culturale?»

«Festival Kanya. Non l'avete mai sentito prima? È il soprannome del festival culturale del Kamiyama».

Un soprannome? Qualcosa del tipo "festival Sophia" per l’università Sophia o "festival Mita" per l’università Keio? Mi era difficile crederci, considerando la precedente storia delle quattro "Famiglie Esponenziali".

«Ho i miei dubbi. Stai dicendo la verità?»

«Certo che sì, anche se si tratta di un soprannome non ufficiale. Gli studenti più grandi del club di cucito lo chiamano in questo modo. Lo stesso vale per il club di studio dei manga, Mayaka?»

Quindi Ibara faceva parte del club di studio dei manga? In effetti si adattava bene alla sua immagine, anche se sembrava comunque disdicevole.

«Sì, tutti lo chiamano festival Kanya. Anche i membri del comitato organizzativo lo chiamano in questo modo».

«Kanya? Come si scrive?»

Satoshi si mise una mano sul mento e rispose: «Non lo so, ma tutti lo chiamano così».

A quanto pareva, "Kanya" era davvero il soprannome del festival. Tuttavia, non riuscivo a trovare nemmeno una parola che avesse una pronuncia simile. Oh, be’, probabilmente bisognava essere dei professionisti, per trovare l’etimologia di una parola così stupida. Mentre stavo riflettendo, Satoshi aggiunse: «Forse si tratta di un’abbreviazione della parola "Kamiyama", che però è stata trasformata in "Kanyama" e infine è diventata "Kanya"».

C’era da aspettarselo da un esperto di informazioni inutili come Satoshi.

Stavamo chiaramente andando fuori tema, quando Ibara ci riportò, risoluta, alla questione originale.

«Ad ogni modo, state cercando delle antologie, giusto? Forse si trovano negli archivi, ma al momento la bibliotecaria è in riunione e non possiamo entrare senza il suo permesso. Probabilmente tornerà tra mezz'ora, volete aspettare?».

Mezz'ora? Nemmeno Chitanda aveva fretta di consultare subito le antologie, così mi guardò e sussurrò: «Cosa facciamo?» Mi andava bene qualsiasi decisione, ma notai che fuori pioveva ancora molto. Il bollettino meteorologico diceva che la pioggia si sarebbe fermata nel pomeriggio e che avremmo avuto una notte stellata, tuttavia le condizioni atmosferiche non sembravano voler migliorare. Alla fine, non avevamo altra scelta se non aspettare.

«Credo che aspetteremo».

«Anche se in teoria potresti andartene?»

Decisi di tornare al mio libro tascabile e riprendere la lettura dalla pagina in cui mi ero fermato. Satoshi tirò la manica a Ibara e disse: «Mayaka, perché non racconti a Houtarou la storia di cui mi stavi parlando prima?»

Ibara sollevò le sopracciglia e ci pensò per un attimo, prima di annuire.

«Va bene. Oreki, ti va di mettere in moto il cervello una volta tanto?»

No.

D’altro canto, anche Ibara non lo aveva mai fatto.

«Di che storia state parlando?»

Satoshi rispose alla domanda di Chitanda con il suo solito sorriso in faccia: «È la storia di un libro molto popolare, ma che nessuno mai legge».



«Come sapete, il mio turno è ogni venerdì dopo la scuola. Ultimamente, mi sono accorta che un determinato libro viene restituito sempre lo stesso giorno di ogni settimana. Questa è la quinta settimana di fila. Non lo trovate strano?»

Ibara cominciò a parlare, mentre io cercavo una scrivania dove potermi sedere e leggere il mio libro. Sfortunatamente, non c'erano posti disponibili in una stanza così affollata, quindi dovetti sedermi al tavolo che Satoshi stava già occupando.

Poiché il tavolo era vicino al bancone, si potevano chiaramente sentire le voci di Chitanda e Ibara.

«È un libro famoso?»

«Voi cosa ne pensate?»

Ibara ci mostrò il grosso libro che teneva in mano.

«Oh, che bello...»

Chitanda sussultò sbalordita e poi girò lo sguardo verso di me. La ragazza aveva un’espressione felice come se qualcuno le avesse appena fatto un regalo. Il libro era rilegato in una copertina di pelle finemente decorata e il suo colore blu scuro gli dava un'aria solenne. Il titolo del libro era "Istituto Superiore Kamiyama: Viaggio nei sui 50 anni di storia". Oltre ad essere spesso, era anche un libro piuttosto grande sia in lunghezza che in larghezza.

«Posso dargli un’occhiata?»

«Certo».

Dopo aver preso il libro tascabile dal mio zaino a tracolla, iniziai a cercare l’ultima pagina che avevo letto. La mia vista fu però rapidamente ostruita dalla copertina finemente decorata di un altro libro. Era stata Chitanda che, dopo aver aperto il suddetto libro (Istituto Superiore Kamiyama: Viaggio nei sui 50 anni di storia), lo aveva appoggiato sopra al mio romanzo per mostrarmelo. Anche se non ero del tutto interessato, decisi comunque di dare un’occhiata veloce al suo contenuto. Il libro non faceva altro che descrivere la storia del nostro istituto. Questa era una delle pagine:



1972


Eventi in Giappone e nel mondo:

  • 15 maggio: Okinawa torna sotto la sovranità giapponese. Istituzione della prefettura di Okinawa.
  • 29 settembre: Firma della Dichiarazione Congiunta fra Giappone e Cina. Normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
  • Aumento improvviso dei prezzi dei terreni e delle materie prime quello stesso anno.


Eventi nell’Istituto Superiore Kamiyama:

◯ 7 giugno: Il club di tiro con l’arco vince per la prima volta il Torneo Esordienti della Prefettura.
◯ 1 luglio: Cancellazione della gita scolastica per gli studenti del 1° anno a causa di un tifone.
◻ 10-14 ottobre: festival culturale.
◻ 30 ottobre: festival dello sport.
◻ 16-19 novembre: gita scolastica per gli studenti del 2° anno - Sasebo, Nagasaki.
◻ 23-24 gennaio: corso di sci per gli studenti del 1° anno.
◯ 2 febbraio: funerali dello studente del 1° anno Ooide Naoto, morto in un incidente automobilistico.



Il libro era pieno di informazioni del genere. Leggere tutto il suo contenuto non era di certo un’impresa semplice. Io personalmente non sarei mai arrivato a prenderlo in prestito una volta a settimana, ma non mi sarei sorpreso se qualcuno lo avesse fatto.

«Houtarou, scommetto che stai pensando qualcosa del tipo: "Non sarei sorpreso se qualcuno lo prendesse in prestito una volta a settimana", vero?»

Smettila di leggermi la mente, dannata psichica.

Dato che non avevo controbattuto, Ibara gonfiò il suo petto particolarmente piccolo e disse: «Non è così semplice. Immagino che tu non sia molto abituato a frequentare la biblioteca, quindi lasciami spiegare. È possibile tenere un libro in prestito fino a due settimane, perciò non è necessario restituirlo solo una settimana dopo».

«Eppure, questo libro viene restituito ogni singola settimana».

In effetti… era davvero molto strano.

«C'è un modo per scoprire chi ha preso in prestito quel libro?»

«Certo. Dietro la copertina c’è una lista dettagliata. Date un'occhiata».

Chitanda si girò subito verso la copertina e scrutò la lista.

La ragazza sussultò: «Eh?»

«Che succede?»

La lista conteneva i nomi di tutti gli studenti che avevano preso in prestito il libro e le varie date che, in effetti, avevano una differenza tra loro di esattamente una settimana. Tuttavia, non era questo il motivo per cui Chitanda aveva sussultato. Infatti, lei mi stava indicando con il dito la lista dei nomi.


Quella settimana, il libro era stato preso in prestito da Kyouko Machida della classe 2-D.
La settimana precedente, era stata Misaki Sawakiguchi della classe 2-F.
Due settimane prima, Ryouko Yamaguchi, classe 2-E.
Tre settimane prima, Saori Shima, classe 2-E.
E infine, quattro settimane prima, Yoshie Suzuki, classe 2-D.


«In poche parole, è stato preso in prestito da una persona diversa ogni settimana?»

«E non è tutto».

Chitanda mi indicò le date. Le osservai con attenzione e notai che l’ultimo prestito era avvenuto quello stesso giorno. La data precedente, invece, corrispondeva esattamente a sette giorni prima.

«Il libro viene preso in prestito ogni venerdì».

«Esattamente. Inoltre, viene restituito lo stesso giorno in cui viene preso in prestito. Questa Kyouko Machida, ad esempio, ha preso in prestito il libro venerdì scorso e lo ha restituito qualche ora più tardi. Lo stesso vale per le altre studentesse. Sappiamo anche gli orari precisi: il prestito avviene durante la pausa pranzo, mentre la restituzione dopo la fine delle lezioni. Di certo, non avrebbero mai potuto finirlo di leggere».

«...»

«Allora? Sei curiosa?»

Dopo aver consegnato il libro a Ibara, Chitanda annuì leggermente con la testa.

«Sì... sono "molto" curiosa».

Stava parlando con un tono più serio del solito. Proprio come l'ultima volta, le sue pupille sembravano più grandi e, dentro di loro, dimorava un forte interesse.

«E quale sarebbe il motivo?»

Grazie al mistero del libro, la fiamma della curiosità si era riaccesa dentro Chitanda. Satoshi non mi avrebbe aiutato a spegnere l'incendio, perché probabilmente avrebbe fatto il finto tonto, cercando di ignorarci. Decisi di tornare a leggere il mio libro.

Non avevo ancora capito che la punta della lancia era ormai rivolta verso di me. Per la seconda volta, Chitanda appoggiò quel grosso libro (Istituto Superiore Kamiyama: Viaggio nei sui 50 anni di storia) sopra al romanzo che stavo leggendo e disse: «Cosa ne pensi, Oreki?»

«Eh? Io?»

Invece della sua solita espressione gentile, Satoshi ora mi sorrideva con aria divertita. Capii subito cosa stesse succedendo. Ero stato attirato nella sua trappola. In quel momento, volevo maledire lui e i suoi piani malvagi.

«Pensiamoci insieme».

«...»

«Che ne dici, Oreki?»

Perché? Perché proprio io? Mi stava bene la vigorosa curiosità di Chitanda e dovevo ammettere che Satoshi aveva alcune qualità positive, anche se faceva scherzi di continuo, ma perché dovevo essere obbligato a partecipare ai giochi di Chitanda e sopportarla?

Eppure, era anche vero che la situazione si erano evoluta fino al punto in cui trovare una via di fuga sarebbe stato impossibile. Così, fui costretto a rispondere: «Sì… credo che sia "molto" interessante. Ci penserò».

Ibara si posizionò accanto a Satoshi e gli chiese: «Fuku, Oreki è davvero intelligente?»

«Per niente. Di solito non è affidabile, ma a volte si dimostra all'altezza del compito».

Ibara e Satoshi non smettevano di fare gli insolenti.

Iniziai quindi a pensare.



Visto che il libro era stato preso in prestito e restituito lo stesso giorno, per ben cinque settimane di fila e da persone completamente diverse, la possibilità che si fosse trattata di una coincidenza non era da escludere. Tuttavia, Chitanda non avrebbe mai accettato una spiegazione del genere, quindi dovevo pensare ad altro. In quel momento, ottenere la sua accettazione era più importante della verità.

Ad ogni modo, scartare la teoria della coincidenza non era semplice. Di certo, il libro non era stato preso in prestito per leggerlo, poiché l’arco di tempo che andava dall'ora di pranzo alla fine delle lezioni era davvero troppo breve. Se ci pensate, sarebbe stato più logico portarlo a casa o semplicemente leggerlo in biblioteca dopo la scuola. Addirittura, in quest'ultimo caso, non sarebbe stato nemmeno necessario prenderlo in prestito. Doveva esserci di sicuro un’altra motivazione.

«Perché queste ragazze hanno preso in prestito il libro, se poi non lo hanno letto…?»

Chitanda rispose: «È pesante, quindi forse lo hanno usato per tenere chiusi i barattoli di sottaceti».

Satoshi rispose: «Forse lo hanno usato come scudo».

Ibara rispose: «Dato che è spesso, probabilmente lo hanno usato come cuscino».

Non avrei mai dovuto chiederlo.

Decisi di spostare l'attenzione su un altro fattore.

Perché il libro era stato preso in prestito da una persona diversa ogni settimana? Escludendo l’ipotesi della coincidenza, c’erano altre due possibilità da prendere in considerazione. La prima era quella secondo cui le ragazze non avevano assolutamente nulla in comune e utilizzavano a turno il libro, ogni venerdì pomeriggio, per effettuare una sorta di "rituale".

Probabilmente avevano ricevuto una predizione simile a "il tuo oggetto fortunato di questo mese è il libro sulla storia dell’istituto. Se lo prenderai in prestito ogni venerdì pomeriggio e lo restituirai quello stesso giorno, incontrerai l'uomo dei tuoi sogni".

Nah, era un motivo troppo stupido...

Rimaneva quindi solo la seconda possibilità, secondo cui le ragazze avevano qualcosa in comune.

Dando un’occhiata ai nomi, si poteva facilmente notare che erano tutte ragazze, eppure questo particolare non era sufficiente per stabilire un tratto comune. All'interno del Kamiyama, se cinque persone venivano scelte a caso, c'era una possibilità elevata che fossero tutte ragazze. Ad ogni modo, non è insolito che persone dello stesso sesso abbiano la tendenza a riunirsi in un unico ambiente.

Inoltre, tutte quelle ragazze frequentavano il secondo anno, il che poteva essere un altro punto in comune. Tuttavia le loro classi erano diverse.

Hmm...?

Mi venne in mente una cosa...

«Che succede? Ti sei fatto qualche idea?»

Probabilmente sì, ma il mio flusso di pensieri era stato spazzato via dall'intervento di Satoshi… Dov'ero rimasto?

In ogni caso, decisi di ricominciare dal punto in cui i miei pensieri avevano iniziato a collegarsi tra loro.

«Forse il libro contiene una sorta di messaggio... Magari lo utilizzano per comunicare segretamente tra loro. Ad esempio, se il libro viene restituito rivolto verso l’alto, significa "sì", mentre se è rivolto verso il basso, significa "no"».

«Perché comunicano in questo modo?»

«È solo un esempio. Qualsiasi cosa andrebbe bene».

Chitanda inclinò la testa e iniziò a pensare. Sembrava che la spiegazione la stesse convincendo.

Purtroppo, qualcuno riuscì però a spezzare la mia tesi. Non si trattava di Chitanda, ma bensì di Ibara.

«Non credo sia possibile. Guarda lì».

Ibara indicò la scatola che conteneva i libri restituiti. In effetti, non c’era modo di sapere se un libro fosse stato restituito rivolto verso l’alto o il basso. Solo chi avesse aperto la scatola, ovvero la bibliotecaria, avrebbe potuto saperlo.

Maledizione. Qualsiasi teoria superficiale sarebbe stata una preda facile per Ibara.

Non mi veniva nulla in mente. Forse avevano una chiave di riserva per aprire la scatola, ma non avevo nessuna prova. Avevo bisogno di un indizio. Guardai il libro nelle mani di Ibara e mi chiesi se fosse il caso di arrendermi.

In quel momento, Chitanda entrò improvvisamente nel mio campo visivo. La ragazza allungò il suo corpo lungo il tavolo e iniziò a fissare il libro che Ibara teneva stretto al petto.

«Eh? Eeh?»

Quella reazione lasciò Ibara senza parole. Capivo come si sentisse.

«Che succede, Chitanda? Hai visto dei simboli nascosti sulla copertina?»

Chitanda rimase immobile e mormorò: «Quel libro… ha uno strano odore».

«Davvero? Ibara, puoi passami il libro? …Io non sento nulla».

«No, ne sono sicura».

«Il libro in sé non dovrebbe avere alcun odore. Forse si tratta dell’inchiostro».

Chitanda scosse la testa al suggerimento di Satoshi.

Sia Ibara che Satoshi annusarono il libro, senza però sentire alcun odore. Alla fine, entrambi alzarono le sopracciglia ed inclinarono la testa con aria perplessa.

«Non so che odore sia, ma è molto forte. Assomiglia a vernice».

«Smettila di dire cose così pericolose».

«Pericolose? Non capisco…»

Nemmeno io. Ad ogni modo, avevo la sensazione che Chitanda avesse ragione, dopotutto ne sembrava estremamente convinta e il particolare della vernice non sembrava inventato.

Se ciò era vero, allora… Hmm.

… Avevo probabilmente raggiunto una conclusione, ma spiegare tutto era una seccatura.

Mentre mi domandavo cosa avrei dovuto fare, Satoshi mi aveva già letto la mente e disse: «Houtarou, la tua faccia mi dice che hai capito qualcosa».

«Eh? Oreki ci è riuscito davvero?»

Ibara si girò verso di me con un’espressione scettica. Io annuii e le risposi onestamente: «Più o meno. Anche se non ne sono del tutto certo… Chitanda, vuoi fare un po’ di esercizio fisico? Ho bisogno che tu vada in posto per me».

Chitanda era il tipo di persona, che sarebbe schizzata via appena le avessi detto cosa fare, tuttavia Satoshi la fermò con un sorriso in faccia.

«Non farti ingannare, Chitanda. Non hai intenzione di sbrigare commissioni per Houtarou, vero? Altrimenti finiresti per fare tutto quello che vuole lui. A cosa stavi pensando?»

Quanto riprovevole. Satoshi tendeva a dire troppo ogni volta che Ibara era in giro. Ad ogni modo, quello che aveva detto non era sbagliato, quindi non ne ero troppo dispiaciuto. Era vero che se non avessi chiesto a qualcun altro, io non avrei mai portato a termine una faccenda.

«Molto bene, verrò anch’io. Dato che oggi non abbiamo fatto la lezioni di educazione fisica a causa della pioggia, ho ancora qualche energia residua».

Chitanda sarebbe inevitabilmente venuta insieme a me. E poi...

«Hmm, credo che verrò anch’io. Se Oreki riuscisse davvero a risolvere il mistero, rimarrei scioccata... Fuku, potresti sostituirmi per un attimo?»

Dopo di che, Ibara si allontanò dal bancone, mentre Satoshi rispose con aria sbalordita: «Uhm, ok». Senza dire una parola, si posizionò dietro al bancone. Era da un po' che non lo vedevo così triste.



Quando fummo soddisfatti dai risultati ottenuti, tornammo in biblioteca.

«Come è andata?»

«Fuku, Oreki è un po' strano».

«Sicuramente lo è, te ne sei accorta?»

«Come ha fatto a capire tutto questo...»

Ibara continuava a mormorare con aria turbata: «Come è possibile…» Sembrava che mi stesse guardando come una sorta di eroe circondato da un'aura scintillante, anche se non sarei mai stato in grado di brillare senza un po' di fortuna.

«Oreki mi ha davvero sorpresa. Sono curiosa di sapere cosa ci sia nella sua testa».

La mia mente fu attraversata da un'immagine di Chitanda alle prese con una lobotomia alla mia testa, all’interno dello scantinato di una magione, durante una tempesta notturna. Solo immaginarlo mi fece venire i brividi. In ogni caso, la capacità di Chitanda di fiutare un odore così debole, quando nessun altro riusciva a sentirlo, restava un mistero più grande di quello del libro.

«Se si tratta di Oreki, allora potrebbe…»

Potrei fare cosa? Per favore, non mi andava di essere usato come ingrediente per qualche organismo cibernetico.

Ibara si riposizionò dietro al bancone e Satoshi chiese: «Allora, sentiamo la spiegazione. Houtarou, dove siete andati?»

Poggiando i gomiti sul bancone, risposi: «Nell’aula di arte».

«L’aula di arte? Nella parte opposta dell’istituto?»

«Ecco perché non ci volevo andare».

«Cosa avete scoperto lì?»

«Ascoltami».

Cominciai a ripetere tutto quello che avevo già spiegato a Chitanda e Ibara: «Questo libro viene utilizzato tra la quinta e la sesta ora di ogni venerdì, quindi in un arco di tempo di circa 2 ore. Nessuno sarebbe in grado di leggere un libro così enorme durante la pausa pranzo. L’unica possibilità è che questo libro venga utilizzato durante le lezioni che coinvolgono studenti dello stesso anno, ma di classi diverse».

Le mie riflessioni erano arrivate a questo punto, prima che Satoshi mi interrompesse. Al centro del nostro mistero, c’era un luogo in cui Chitanda aveva avuto modo di conoscermi e di ricordarsi il mio nome, nonostante non mi avesse mai visto prima. Aspetta, dove mi aveva incontrato?

«Le lezioni che rientrano in questa categoria sono due: educazione fisica e arte. Ovviamente, un libro sarebbe inutile durante l’ora di educazione fisica, quindi è da escludere. Se date un'occhiata attenta alla copertina del libro, noterete che su di essa si è accumulata una leggera quantità di tempera. Queste cinque ragazze stavano usando il libro per le loro lezioni, e hanno deciso di prenderlo a turno in prestito ogni settimana».

Satoshi mi interruppe e disse: «Ma non capisco perché lo fanno una volta a settimana. Voglio dire, puoi tenerlo in prestito per due settimane...»

«Smettila di dire le stesse cose di Ibara. Voi due dovete andare davvero d'accordo per dire le stesse cose. Satoshi, tu terresti un libro che non hai intenzione di leggere? Sarebbe ovviamente più efficiente riportarlo in biblioteca, invece di portarlo a casa».

«Capisco… E cosa avete visto quando siete andanti lì?»

«Ormai dovresti averlo capito. Abbiamo visto gli studenti delle classi 2-D, 2-E e 2-F, che dipingevano durante la lezione di arte».

Nell’aula, c'erano dei dipinti che ritraevano soggetti simili in stili differenti. C’erano anche i ritratti dei vari studenti, seduti accanto a un tavolo decorato da un fiore. Nella mano delle ragazze si trovava niente meno che l’elegante libro intitolato "Istituto Superiore Kamiyama: Viaggio nei sui 50 anni di storia". Era un dipinto molto dettagliato, e artisticamente parlando, era piuttosto affascinante.

«Sei incredibile, Houtarou. Allora, qual era l’odore che sentiva Chitanda?»

«Ovviamente l’odore della tempera. Se n’è resa conto anche lei, appena siamo entrati nell’aula di arte».

Satoshi iniziò a battere le mani senza riserve.

«Wow, sei stato fantastico. Grazie a te, ho sperimentato del tempo di qualità».

Chitanda sorrise in approvazione.

«Sì, è stato divertente. Sembra che il tempo sia volato in un lampo».

«In primo luogo, non so nemmeno quanto tempo sia passato… ma non posso crederci che Oreki sia davvero riuscito a risolvere il mistero!»

Se da una parte loro sembravano strabiliati, per me era invece del tutto diverso. Ibara era stata la prima a pensare che l’intera faccenda fosse strana, Chitanda era quella che aveva deciso di investigare per pura curiosità e Satoshi voleva semplicemente godersi lo spettacolo; tutti loro erano diversi da me. Cominciai a chiedermi se anche io avrei avuto una reazione simile, partecipando al festival Kanya.

Come dire… Oh, be’, lasciamo perdere.

La pioggia stava diventando più debole e il tempo di tornare a casa si avvicinava.

Mentre stavo per prendere la mia borsa, Chitanda mi fermò.

«Non possiamo andarcene. Dobbiamo aspettare».

«Cosa? Abbiamo qualcos’altro da fare?»

Notai che Satoshi e Ibara mi stavano fissando freddamente. Avevo fatto qualcosa di sbagliato?

«Oreki, ti ricordi perché sei venuto qui?»

Per risolvere il mistero del libro molto popolare ma che nessuno legge…

No, aspetta. Giusto, mi ero dimenticato dell’antologia! Satoshi scoppiò a ridere.

«Andiamo, ragazzi. Ogni tanto Houtarou ha qualche rotella fuori posto».

«Ogni tanto? Fuku, sei troppo buono».

Argh, mi ero appena comportato in modo stupido di fronte a loro due.

Ibara sembrava intenzionata a continuare, quando una voce fece capolino da dietro al bancone.

«Ibara, grazie per l’aiuto. Ora puoi tornare a casa».

«Ah, certamente. Anche lei sta tornando a casa, professoressa Itoikawa?»

Era un’insegnante e, anche se non l’avevo mai vista prima, sapevo che era la bibliotecaria. Nonostante fosse una donna alla fine della mezza età, era piuttosto bassa di statura. Un’occhiata alla sua targhetta mi permise di risalire al suo nome completo: Youko Itoikawa.

All’arrivo della bibliotecaria, Satoshi si mise subito al lavoro.

«Professoressa, sono Satoshi Fukube del club di letteratura. Abbiamo intenzione di pubblicare un’antologia e vorremmo vedere gli arretrati per avere un punto di riferimento, ma non riusciamo a trovarli sugli scaffali normali. Quindi ci stavamo chiedendo se potessimo dare un’occhiata agli archivi».

«Club di letteratura?... Antologia?»

La professoressa Itoikawa iniziò a parlare con aria sorpresa. Probabilmente pensava che il club di letteratura fosse stato sciolto.

«Fai parte del club di letteratura? Capisco… Scusami, ma la libreria non possiede nessuna antologia di cui io sia al corrente».

«Eeh, allora gli archivi?»

«Neanche lì».

«Forse qualcosa è stato tralasciato…»

«Non credo sia possibile».

La risposta arrivò con un tono stranamente deciso. Eppure, non c’era alcun motivo per cui la bibliotecaria ci dovesse mentire. Forse gli archivi erano stati revisionati di recente?

Dopo aver ricevuto una risposta negativa, Satoshi non aveva altra scelta se non arrendersi.

«Allora è così? Capisco… Adesso cosa facciamo, Chitanda?»

«Questo è un problema…»

Chitanda mi rivolse uno sguardo depresso. Anche se mi guardava in quel modo, non potevo fare altro che sollevare le spalle.

«Sono sicuro che alla fine li troveremo. Per ora andiamo a casa» dissi, mentre prendevo la mia borsa.

Ibara rispose freddamente: «Sembri molto rilassato, dopo aver risolto il mistero».

Anche se avevo risolto un problema, non mi sentivo di certo rilassato. Ibara, le tue accuse erano del tutto fuori luogo. In ogni caso, era inutile esprime a parole i miei pensieri, quindi decisi di fare spallucce.

«Sì, hai ragione. Andiamo a casa… Almeno ne è valsa la pena».

Chitanda disse qualcosa di totalmente incomprensibile.

Ad ogni modo, il nostro lavoro era finito. Questa volta, riuscii a mettermi la borsa sulla spalla e ad uscire dall’edificio, con la pioggia che si era ormai fermata e i raggi del sole che brillavano tra le nuvole.

Quando mi girai per guardarmi intorno, sentii Chitanda che sussurrava di nuovo quelle parole: «Proprio così. Se si tratta di Oreki, allora potrebbe…»



4 - I Discendenti del Movimentato Club di Letteratura[edit]

Era domenica ed ero stato invitato fuori da Chitanda. Disse che voleva vedermi al di fuori della scuola, anche se chiese al sottoscritto di scegliere il luogo. Di conseguenza, eccomi qui al "Caffè Sandwich all’Ananas". Il locale, decorato in una cupa tonalità marrone scuro, serviva il caffè del Kilimangiaro più stagionato che abbia mai provato. Il cospicuo cartello pubblicitario all'esterno era piuttosto difficile da non notare.

Poiché non c’era né una radio né una TV accesa, la caffetteria era piuttosto silenziosa. L’ambiente era certamente piacevole, ma si trattava comunque di un posto noioso in cui aspettare qualcuno. Mancavano solo pochi minuti prima dell’orario prefissato e, dato che Chitanda non era ancora arrivata, mi misi a fissare la tazza di caffè posata sul tavolo del mio compartimento, iniziandomi a sentire un po’ irrequieto.

Finalmente, Chitanda arrivò e, secondo il mio orologio che segnava l’una e mezza, era perfettamente in orario. Dato che la caffetteria era abbastanza piccola, riuscì a trovarmi velocemente, quindi venne verso di me e si sedette. Indossava un abito per lo più bianco, che la rendeva probabilmente la ragazza più bella dell’universo.

«Scusami se ti ho chiamato all’improvviso».

«Non c’è problema».

Svuotai la mia tazza di caffè e chiamai il cameriere. Chitanda diede un’occhiata al menù e disse: «Una cioccolata calda, per favore».

Scelse qualcosa di dolce. Essendo un normale studente delle superiori, non ero abbastanza ricco per effettuare da solo un’altra ordinazione.

Prima di passare al tema principale, Chitanda espresse le sue prime impressioni positive sul locale. Poi, io replicai che una persona come lei, che non ordina il caffè in una caffetteria, è come una persona che visita lo zoo di Ueno, senza andare a vedere i panda giganti. Chitanda iniziò a fare una lista di tutti i tipi di caffè con una bassa concentrazione di caffeina e, nel frattempo, la sua cioccolata calda arrivò. La grande quantità di panna nella sua tazza mi sorprese. A quanto pare, aveva un debole per i dolci.

Chitanda procedette a mescolare la panna con un cucchiaio. Il suo sguardo suggeriva che si stesse divertendo. Di questo passo, avremmo continuato a bere e chiacchierare per tutta la giornata, prima di andare a casa. Per metà serio e per metà timoroso riguardo questa possibilità, decisi di dare il via alle danze.

«Allora, cosa vuoi da me?»

«Uh?»

È questo l’atteggiamento che si dovrebbe avere, quando chiedi a una persona di sacrificare parte del proprio sacro fine settimana?

«Perché mi hai chiesto di uscire?»

Chitanda sorseggiò la sua bevanda e mormorò a bassa voce: «Davvero delizioso». Poi, inclinò la testa e disse: «Be’, sei stato tu a scegliere questo posto».

«D’accordo, vado a casa».

«Ah! Fermati, per favore!»

Chitanda posò il cucchiaio e la tazza sul tavolo, raddrizzò velocemente la propria postura e disse: «Mi dispiace. Ero… un po’ nervosa».

Anche se il suo comportamento sembrava confermare quelle parole, la sua espressione invece non appariva affatto tesa. Forse, quando era nervosa, aveva l’abitudine di dire qualsiasi cosa senza riflettere. Allora decisi di prenderla in giro, chiedendo: «Sei nervosa? Hai qualcosa da confessarmi?»

Tuttavia, mi accorsi rapidamente che una battuta così generica avrebbe avuto un effetto lieve su di lei.

«No, io...»

Annuì con esitazione, probabilmente per nascondere l’imbarazzo.

Iniziai ad andare nel panico, così chiamai subito un cameriere.

«…Vorrei un altro caffè, per favore».

Senza badare alla mia reazione, Chitanda parlò a bassa voce.

«Più che una confessione, è una richiesta per te. In realtà, questo è un problema che riguarda solo me, quindi non avrei il diritto di chiedere il tuo aiuto. Potresti ascoltare la mia storia?»

Chitanda distolse lo sguardo dalla sua tazza di cioccolata calda. Allora è così… Anche se non sapevo gestire così tanta solennità, risposi: «Ok, ti ascolto».

«Grazie».

E così, dopo aver bevuto un sorso della sua bevanda, Chitanda iniziò a parlare lentamente.

«… Io ho uno zio. Il suo nome è Jun Sekitani e si tratta del fratello maggiore di mia madre. Dieci anni fa, partì per un viaggio in Malesia, ma risulta scomparso ormai da sette anni».

«Quando ero giovane… no, forse sono ancora giovane… Dieci anni fa, ero molto legata a lui. Da quello che ricordo, era in grado di rispondere a ogni domanda che gli ponevo. Da piccola, tutto quello che mi diceva suonava fantastico alle mie orecchie. Anche se ora non ricordo più nulla, l’immagine che ho di mio zio è quella di un vecchio saggio che conosce di tutto».

«Sembra una persona straordinaria».


CONTINUA...



Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 5


Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 6


Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 7


Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 8


Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 9


Postfazione[edit]

Ciao, sono Honobu Yonezawa.


Circa il 60% di questo romanzo è pura finzione, mentre il resto è basato su fatti storici e alcuni eventi narrati nei giornali locali.

Quella di fondere finzione e fatti storici è una vera e propria arte. La finzione può essere modificata, poiché è frutto dei propri pensieri, al contrario i fatti storici sono una variabile costante. Questo è il succo della questione. Tuttavia, nonostante la parte storica sia secondaria in questo romanzo, ho avuto comunque difficoltà a trovare idee per risolvere la parte fittizia.


Questo libro non avrebbe mai visto la luce, senza l’aiuto che ho ricevuto da molte persone. In particolare, i seguenti: Yamaguchi-san e Nakai-kun, che mi hanno fornito importanti suggerimenti dell’ultimo minuto; Saitou-san, che mi ha spinto a rendere questa storia piacevole e interessante; Tada-san, che mi ha aspettato pazientemente per tutto questo tempo; Akiyama-kun, che mi ha instancabilmente avvertito di non essere mai troppo soddisfatto.

In secondo luogo, vorrei ringraziare anche: tutti i membri del comitato di selezione, che hanno deciso di dare una possibilità a questo romanzo; S-san, nonché il responsabile di tutto quanto; Uesugi-san, che ha disegnato l’illustrazione di copertina (per la prima edizione). Senza il vostro contributo, Hyouka non sarebbe mai potuto esistere. Avete la mia più profonda gratitudine.


A proposito, l'altro giorno un amico mi ha invitato a mangiare del sushi in un locale con dei prezzi adeguati. Ero contento che mi avesse persino offerto di accompagnarmi lì. Eppure, mentre stava guidando, il mio amico non sembrava avere tanta fretta a differenza di me.

Visto che era quasi ora di cena, il parcheggio si stava lentamente riempiendo. Ero sinceramente preoccupato, così cercai di convincere il mio amico a sbrigarsi, ma lui mi restituì solo un sorriso ambiguo, mentre l'auto continuava a muoversi lentamente.

Sapevo che il mio amico non era il tipo da prendere in giro la gente e, in effetti, si stava comportando in modo piuttosto prudente e serio. Non avevo idea di cosa gli stesse succedendo quel giorno.


Forse, in una prossima occasione, vi dirò come andò a finire.

Fino ad allora, grazie per aver letto questo libro.


Honobu Yonezawa




Note[edit]

  1. La dottrina del filosofo e pedagogista americano J. Dewey (1859-1952), di derivazione pragmatistica, secondo la quale il pensiero è uno strumento per affrontare le difficoltà che insorgono nel fronteggiare una situazione nuova, quando l'esperienza rivela il fallimento delle modalità istintive di reazione.
  2. Un’arte marziale praticata dai bushi (guerrieri) che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi.
  3. Un’arte marziale sviluppata dalla polizia feudale giapponese per arrestare criminali pericolosi e solitamente armati.
  4. Nell’originale, si fa riferimento a un gioco di parole tra "arido" (不毛) e "due campi agricoli" (二毛作). Purtroppo, la battuta è impossibile da riproporre in italiano.
  5. Cronache degli Otto Cani (Nansō satomi hakkendenin) è un'opera letteraria formata da 106 volumi scritta da Kyokutei Bakin. Elaborata tra il 1814 e il 1842 è basato su un romanzo storico cinese noto come I briganti. Molto probabilmente si tratta del romanzo più lungo mai scritto.
  6. Racconti di Pioggia e di Luna (Ugetsu monogatari) è una raccolta di storie dello scrittore giapponese Ueda Akinari. È stata completata nel 1768 e pubblicata nel 1776, durante il periodo Edo.
  7. Il Picco Bianco (Shiramine) è la prima storia inclusa nei Racconti di Pioggia e di Luna.
  8. Il Grande Specchio (Ōkagami) è un racconto storico giapponese scritto intorno al 1119 da un autore ignoto.
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