Hyouka (Italiano):Volume 1 Capitolo 2

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2 - La Rinascita del Tradizionale Club di Letteratura[edit]

Molti dicono che quello delle superiori sia un periodo "roseo". Con la fine dell'anno 2000, l'arrivo del giorno che corrispondeva a quella definizione, come descritta da un dizionario giapponese, non era più così lontano.

Comunque, non è detto che tutti gli studenti delle superiori desiderino una vita così "rosea". Che si tratti di studio, sport o storie d’amore, ci sarà sempre qualcuno che preferisce avere una vita "grigia"; questo era il mio giudizio. Eppure, era un modo piuttosto solitario di vivere la propria esistenza.

Era questo l’argomento di cui stavo discutendo insieme al mio amico Satoshi Fukube, mentre la classe era illuminata dalla luce del tramonto. Come al solito, Satoshi mostrava un volto sorridente e mi disse: «Anch’io la penso così. Ad ogni modo, non pensavo che tu fossi così masochista».

Purtroppo si sbagliava. Così protestai: «Stai dicendo che la mia vita è "grigia"?»

«L’ho detto? Vedi, Houtarou, che si tratti di studio, sport, o cos’era l’altra? Storie d’amore? Non penso che tu ti sia mai interessato a queste cose».

«In effetti, anch’io non mi interesso molto a riguardo».

«Esatto».

Il sorriso di Satoshi si allargò.

«Stai soltanto "risparmiando energie", dopotutto».

Diedi la mia approvazione con un grugnito. Non odiavo essere attivo, ma semplicemente non mi piaceva sprecare energie per qualcosa di fastidioso. Preferivo sprecare le mie energie per migliorare il mondo. In parole povere, "non facevo nulla che non fossi costretto a fare. E se proprio mi toccava farla, me la sbrigavo alla svelta".

Satoshi avrebbe alzato le spalle come al solito, se gli avessi ripetuto il mio motto.

«Che si tratti di risparmiare energie o di cinismo, alla fine è la stessa cosa, giusto? Hai mai sentito parlare dello strumentalismo[1]

«No». «In breve, il fatto che tu non abbia alcun particolare interesse e che non ti sia iscritto a nessun club in un istituto come il Kamiyama, dove c’è una vasta possibilità di scelta, ti rende in automatico una persona "grigia"».

«Cosa? Mi stai dicendo che la morte per omicidio non è poi così diversa dalla morte per negligenza?»

Satoshi rispose senza esitazione: «Da una certa prospettiva, sì. Ma, se stai cercando di esorcizzare l’anima di una persona morta, dicendogli che la sua morte è stata causata da una tua negligenza, allora si tratta di una questione totalmente diversa».

«...»

Bastardo insolente. Guardai ancora una volta la persona davanti a me. Satoshi Fukube, un amico di vecchia data, nonché un degno avversario e un rivale mortale, era piuttosto basso per essere un ragazzo. Nonostante fosse uno studente delle superiori, lo si poteva confondere per un soggetto debole dall’aspetto femminile, ma interiormente era una persona totalmente diversa. Descrivere cosa fosse questa differenza è difficile… Ad ogni modo, lui dava la sensazione di essere diverso. Oltre a portare un sorriso tutto il tempo, si faceva sempre vedere in compagnia di una borsa con chiusura a lacci e un’aria da impertinente. Era anche membro del club di cucito, non chiedetemi il motivo.

Discutere con lui era solo uno spreco di energie. Agitai la mia mano per indicare la fine di quella conversazione.

«In ogni caso, è ora di tornare a casa».

«Già, hai ragione. Oggi non ho nessuna attività per il club… credo che andrò a casa».

Mentre Satoshi si stiracchiava, a un certo punto si rese conto di qualcosa e guardò verso di me.

«Hai detto "è ora di tornare a casa"? È raro sentirtelo dire».

«In che senso?»

«Di solito, te ne saresti già tornato a casa, senza pronunciare una singola parola. Che affari hai dopo la scuola, se non sei iscritto a nessun club?»

«Ah».

Alzai le sopracciglia e presi un pezzo di carta dalla tasca destra della mia giacca. Dopo averlo consegnato a Satoshi, i suoi occhi si allargarono dallo stupore. Sembrava sbalordito. In realtà, nonostante la sua espressione, non credevo che lui fosse poi così sorpreso. Satoshi era ben noto per le sue reazioni esagerate, dopotutto.

«Cosa?! Non è possibile…»

«Satoshi, non esagerare».

«Questo è un modulo di iscrizione a un club. Sono sorpreso. Cosa diavolo ti è successo? Houtarou che si iscrive a un club...»

In effetti, si trattava di un modulo di iscrizione a un club. Dopo aver letto il nome del club che vi era scritto sopra, Satoshi alzò le sopracciglia.

«Il club di letteratura classica...?»

«Ne hai sentito parlare?»

«Certo, ma perché hai scelto proprio questo club? Ti stai interessando alla letteratura classica?»

E ora come avrei dovuto spiegarglielo? Mi grattai la testa e presi un altro pezzo di carta dalla tasca sinistra della mia giacca. Consegnai a Satoshi una lettera dalla grafia scarabocchiata.

«Leggila».

Satoshi prese prontamente la lettera e cominciò a leggerla. Poco dopo, iniziò a ridere come previsto.

«Ah ah, Houtarou, questa è di certo una seccatura. Una richiesta da tua sorella, eh? Non c’è modo che tu la possa rifiutare».

Perché era così allegro? D'altro canto, sapevo di star mostrando un’espressione amara sul volto. La lettera, arrivata quella mattina dall'India, stava tentando di apportare modifiche al mio stile di vita. Tomoe Oreki si comportava sempre così: mandava di continuo lettere per rovinarmi la tranquillità.

«Houtarou devi proteggere il club di letteratura classica, la gioventù di tua sorella».

Quando avevo aperto la busta e letto la lettera, capii subito che il suo contenuto era piuttosto egoistico. Non avevo l’obbligo di proteggere i ricordi di mia sorella, ma…

«Tua sorella è specializzata nello Jujutsu[2], vero?»

«Aikido e Taiho-jutsu[3]. Chiunque finirebbe steso, se cercasse di farle del male».

Mia sorella, un’esperta studentessa universitaria e una professionista nelle arti marziali, non si accontentava di conquistare solo il Giappone. Perciò, aveva deciso di uscire dal Paese per sfidare anche il mondo intero. Non sarebbe stato saggio incorrere nella sua furia.

D'altro canto, anche se avessi provato a resistere sfruttando il mio poco orgoglio, avevo comunque pochi motivi per oppormi a lei. Infatti, mia sorella aveva colpito nel segno, facendo notare che non avevo niente di meglio da fare. Decisi quindi che era meglio essere un membro fantasma, piuttosto che non essere iscritto a nessun club, e così, senza esitazione, avevo presentato la domanda quella mattina.

«Sai cosa significa, Houtarou?»

Disse Satoshi, mentre osservava la lettera di mia sorella. Sospirai e dissi: «Sì, so che non mi porterà alcun beneficio».

«No, non era quello che intendevo…» disse con un tono stranamente allegro, mentre alzava lo sguardo dalla lettera.

Colpì quest’ultima con il palmo della mano e disse: «Al momento, non ci sono membri nel club di letteratura, giusto? Questo significa che l’aula del club sarà tutta per te. Non è fantastico? Un angolo privato all’interno della scuola dedicato al solo uso personale».

Un angolo privato?

«Questo è un modo interessante di vedere le cose…»

«Ti piace l’idea?»

Un ragionamento interessante. Satoshi stava fondamentalmente dicendo che avrei potuto avere una base segreta all’interno della scuola. Quell’idea non mi sarebbe mai venuta in mente. Un angolo privato, eh? Non lo desideravo particolarmente e, di certo, non avrei mai sprecato energie per una cosa del genere… Ma, se si trattava di un vantaggio, avrei potuto farci un pensierino. Ripresi la lettera dalle mani di Satoshi e gli risposi: «Credo che non sia poi così male. Andrò a dare un'occhiata».

«Ottimo, una buona opportunità è lì pronta ad attenderti».

Una buona opportunità mi attendeva? Be’, effettivamente si adattava bene alla mia personalità, così feci un sorriso amaro e presi il mio zaino a tracolla.

Ero ancora fedele al mio motto.


Dalle finestre aperte, si sentivano le urla del Club di Atletica.

«Forza! Forza! Forza! ...»

Non volevo essere coinvolto in un tale spreco di energie. Non fraintendetemi, non stavo dicendo che risparmiare energie fosse in assoluto l’opzione migliore, perciò non consideravo quelle persone degli sciocchi. Mentre le loro urla continuavano a risuonarmi nelle orecchie, mi diressi verso l’aula del club di letteratura.

Camminai lungo il corridoio e salii fino al terzo piano. Incontrai un bidello, che stava portando una grande scala, e gli chiesi dove fosse l’aula del club. A quel punto, mi diressi verso l’aula di geografia al quarto piano.

L’istituto Kamiyama non aveva né un gran numero di studenti né una struttura troppo grande.

Il numero totale degli studenti si aggirava intorno al migliaio. La scuola forniva dei programmi per gli esami di ingresso alle università, come la maggior parte delle altre scuole, ma non era particolarmente nota per i suoi studenti accademici. Insomma, si trattava di una normale scuola superiore. Nonostante ciò, la scuola possedeva un grandissimo numero di club (ad esempio il club di idropittura o il club di canto a cappella, così come il club di letteratura classica), quindi era piuttosto famosa per il suo festival culturale annuale.

L’istituto era composto da tre grandi edifici: l’edificio dedicato alle attività generali, che ospitava le normali aule scolastiche, l’edificio dedicato a scopi speciali, che ospitava delle aule per l’appunto speciali, e infine la palestra, ma questo mi sembra abbastanza normale. C'era anche un dojo e un deposito di attrezzature sportive. Il quarto piano dell’edificio a scopi speciali, dove si trovava l’aula del club di letteratura, era relativamente tranquillo.

Mentre maledicevo quello spreco di energie, camminai attraverso un altro corridoio e salii le scale fino al quarto piano, dove trovai velocemente l’aula di geografia. Senza esitazione, provai ad aprire la porta, che si rivelò chiusa a chiave come mi aspettavo. La maggior parte delle aule a scopi speciali erano normalmente chiuse. Tirai fuori la chiave, che avevo preso in prestito in anticipo per risparmiare energie, e la inserii nella serratura.

La porta si aprì. All’interno della vuota aula di geologia, le finestre rivolte verso ovest permettevano di scorgere il tramonto. Ho per caso detto vuota? No, in realtà non era come mi aspettavo.

All'interno dell’aula di geografia, nonché l’aula del club di letteratura, c’era già una persona.

Uno studente era in piedi davanti alla finestra e guardava verso di me. Era una ragazza.

Anche se "graziosa" e "bella" non erano esattamente le prime parole che mi erano venute in mente quando la vidi, non trovavo altri termini per descriverla correttamente. Dei lunghi capelli neri scorrevano sulle sue spalle e l’uniforme scolastica le stava molto bene. Era alta per essere una ragazza, probabilmente più alta di Satoshi. Le sue labbra sottili e la figura affranta rafforzavano nella mia mente l’immagine tradizionale, che io avevo di una studentessa. Al contrario, le sue pupille erano grandi e, piuttosto che graziose, sembravano energiche.

Nonostante non ricordassi di averla mai vista, lei fece un sorriso e mi salutò: «Ciao. Tu devi essere Oreki del club di letteratura, giusto?»

«Tu chi saresti…?»

Chiesi in tono cordiale. Anche se non ero mai stato bravo a interagire con gli altri, non avevo intenzione di trattare con freddezza qualcuno che avevo incontrato per la prima volta. Nonostante io non sapessi chi fosse, la ragazza sembrava conoscermi, per qualche ragione.

«Non ti ricordi di me? Mi chiamo Chitanda, Eru Chitanda».

Eru Chitanda. Ora sapevo il suo nome, ma ancora non ricordavo nulla. Ad ogni modo, Chitanda era un cognome piuttosto raro, così come il suo nome, Eru. Possibile che mi fossi dimenticato un nome del genere?

Guardai ancora una volta la ragazza di nome Chitanda. Dopo essermi assicurato che non la conoscessi, risposi: «Scusa, credo di non ricordarmi di te».

Mantenendo il sorriso, lei scosse la testa, apparentemente confusa.

«Tu sei Oreki, giusto? Oreki Houtarou della Classe 1-B?».

Annuii.

«Io sono della classe 1-A».

Ora ti ricordi di me? Questo era quello a cui sembrava alludere... Possibile che la mia memoria facesse così schifo?

Un momento. Io sono della Classe B e lei della A, come ci eravamo potuti incontrare?

Anche se eravamo dello stesso anno, non era possibile interagire con studenti di classi differenti. L’unico modo per farlo era grazie alle attività dei club o agli amici. Io non possedevo collegamenti con entrambi. Allora forse ci eravamo incontrati a un evento che ha coinvolto l’intero corpo studenti, ma l’unico che mi veniva in mente era la cerimonia di apertura della scuola all’inizio del semestre. Inoltre, non ricordavo di essere mai stato presentato a qualcuno al di fuori della mia classe.

No, aspetta, forse mi sbagliavo. In effetti, c’era la possibilità che noi interagissimo con studenti di altre classi, durante le lezioni. Quando si trattava di utilizzare attrezzature speciali, allora era più fattibile insegnare a diverse classi contemporaneamente. Questo accadeva durante le lezioni di educazione fisica o di materie artistiche. Durante la scuola media, ci sarebbero state anche le lezioni di vocazione professionale, ma dato che quel liceo era una scuola principalmente accademica, era fuori questione. Inoltre, le lezioni di educazione fisica erano divise in base al sesso, quindi l’unica rimasta...

«Forse ci siamo incontrati durante le lezioni di musica?»

«Sì, esatto!»

Chitanda annuì profondamente con la testa.

Nonostante l'avessi capito io stesso, ero davvero sorpreso. Per il bene del mio orgoglio rimanente, devo confessare che avevo frequentato solo una di quelle lezioni facoltative da quando mi ero iscritto qui. Quindi ovviamente era impossibile per me ricordare qualsiasi faccia o nome!

Ma, d'altra parte, quella ragazza di nome Chitanda era riuscita a ricordarsi di me dopo avermi visto solo una volta, quindi ecco la prova vivente che non era esattamente impossibile... Sembrava possedere una capacità di osservazione e di memoria spaventosamente elevata.

Ma poteva anche trattarsi di una coincidenza. Dopotutto, persone diverse potrebbero attribuire significati diversi a uno stesso articolo di giornale. Riacquistai i sensi e chiesi: «Allora, Chitanda, perché ti trovi qui nell’aula di geologia?»

Lei rispose rapida: «Mi sono iscritta al club di letteratura, quindi ho pensato di venirti a salutare».

Si era iscritta al club di letteratura, in poche parole, un nuovo membro.

In quel momento, avrei voluto che lei capisse come mi sentivo. Ora che qualcuno si era unito al club, potevo dire addio al mio angolo privato e, allo stesso tempo, ero libero dagli obblighi verso mia sorella. Non avevo più motivo di entrare nel club di letteratura. Il mio cuore sospirò... Avevo fatto uno sforzo del tutto inutile. Mentre riflettevo sulla questione, chiesi: «Perché ti sei iscritta al club di letteratura?».

Non volevo far parte di quel club! Cercai di trasmettere questo messaggio implicito, all'interno della mia domanda, ma sembrava che lei non l’avesse capito.

«Be’, è per motivi personali».

Aveva persino eluso la mia domanda. Quella Eru Chitanda era piuttosto sospetta.

«E tu, Oreki?»

«Io?»

E ora come avrei dovuto rispondere? Se le avessi detto che ero venuto qui a causa di un ordine di mia sorella, non mi avrebbe di certo capito. Ma quando iniziai a pensarci, realizzai che lei non aveva bisogno di conoscere le mie ragioni.

All'improvviso, la porta si aprì e un grido esplose all'interno della stanza: «Ehi! Che ci fate voi qui?»

Era un insegnante. Probabilmente stava pattugliando l’istituto dopo l'orario scolastico. Il suo corpo muscoloso e la pelle abbronzata lo facevano sembrare un insegnante di educazione fisica. Nonostante non ne possedesse una, non sarebbe stato troppo inverosimile immaginarlo con una spada di bambù in mano. Era un po’ avanti con gli anni e la sua figura emanava una certa aria di autorità.

Dopo essere stata sgridata così all'improvviso, Chitanda indietreggiò per un attimo, ma presto tornò al suo sorriso tranquillo e andò a salutare l'insegnante.

«Buon pomeriggio, professor Morishita».

Aveva piegato la testa con la giusta velocità e angolazione, facendo un saluto praticamente perfetto. Vedendo come manteneva le buone maniere a prescindere dalla posizione in cui si trovasse, non potei fare a meno di provare invidia per lei. L'insegnante di nome Morishita rimase per un po’ in silenzio, stupito dalla cortesia della ragazza, ma presto tornò di nuovo a urlare.

«Ho notato la porta aperta, così sono venuto a vedere cosa stesse succedendo. Che ci fate in quest’aula senza permesso? Ditemi il vostro nome e la classe?»

Senza permesso?

«Sono Houtarou Oreki della Classe 1-B. A proposito, questa è l’aula del club di letteratura classica e temo che lei abbia interrotto le nostre attività».

«Il club di letteratura classica...?»

Senza nascondere i suoi sospetti, replicò: «Pensavo che fosse stato sciolto».

«Be’, lo era fino a poco tempo fa. Ha ripreso le attività questa mattina. Potrà averne conferma dal nostro insegnante supervisore, ehm...»

«Il professor Ooide».

«Sì, può chiede conferma al professor Ooide».

Una spiegazione adeguata in un momento adeguato. Morishita abbassò con rapidità il volume della voce.

«Oh, capisco. Be’, continuate quello che stavate facendo».

«Ma ci ha appena visto».

«Quando avete finito, ricordatevi di consegnare la chiave».

«Ce lo ricorderemo».

Morishita si voltò ancora una volta a guardarci, prima di chiudere bruscamente la porta. Chitanda rannicchiò il suo corpo al forte suono, ma poi sussurrò gentilmente: «È...»

«Uhm?»

«È piuttosto rumoroso per essere un insegnate».

Le sorrisi.

Ad ogni modo, non avevo più nulla da fare in quella stanza.

«Bene. Ora che abbiamo finito con le presentazioni, che ne dici di tornare a casa?»

«Eh? Non facciamo nessuna attività oggi?»

«Be’, io me ne vado».

Presi il mio zaino a tracolla, praticamente quasi vuoto, e mi girai verso l’uscita.

«Ricordati di chiudere a chiave la porta, altrimenti quell’insegnate ti sgriderà di nuovo».

«Eh?»

Stavo per uscire dall’aula di geografia, quando fui fermato dalla voce di Chitanda.

«Aspetta!»

Mi girai verso Chitanda, che mi disse, con lo sguardo inespressivo di chi sembrava aver scoperto qualcosa di incredibile: «Non posso chiudere la porta».

«Perché?»

«Perché non ho la chiave».

Oh, giusto. Io avevo la chiave. In effetti, non c'erano così tante chiavi di riserva da poter prendere in prestito. Così presi la chiave dalla tasca e la tesi verso di lei.

«Eccola. Stai attenta a... Scusa, volevo dire per favore non perderla, Chitanda».

Ma Chitanda non rispose. Rimase semplicemente ferma a fissare la chiave appesa al mio dito. Dopo un po’ di tempo, inclinò la testa e chiese: «Oreki, perché hai la chiave?»

Forse aveva qualche rotella fuori posto?

«Be’, senza una chiave non sarei potuto entrare... Aspetta un attimo, come diavolo hai fatto a entrare in questa stanza, Chitanda?»

«Quando sono entrata, la porta era aperta. Infatti, credevo che qualcun altro fosse già entrato».

Almeno che non avesse ricevuto una lettera da un membro come me, lei non avrei mai avuto modo di sapere che non c’erano altri membri nel club di letteratura classica.

«Davvero? Ma, quando sono arrivato io, la porta era chiusa a chiave».

A quanto pareva, era stato un errore da parte mia pronunciare quella frase in modo così disinvolto. L’espressione negli occhi di Chitanda cambiò all'istante e il suo sguardo divenne penetrante. Sarà stata una mia impressione, ma le sue pupille sembravano essersi ingrandite. Indifferente alla mia espressione spaventata, mi chiese lentamente: «Quando hai detto che la porta era chiusa, intendevi la porta che si trova dietro di te?»

Il suo repentino cambio di espressione mi rese confuso, ma comunque annuii. A quel punto, consapevolmente o inconsciamente, Chitanda fece un passo verso di me.

«Quindi stai dicendo che ero chiusa dentro?»


I suoni provenienti dal campo di baseball potevano essere uditi dall'esterno. Anche se non avevo più nulla da fare in quella stanza, Chitanda sembrava desiderosa di parlare ancora per un po'. Sospirai e alla fine cedetti. Misi il mio zaino a tracolla su un tavolo lì vicino.

Chitanda era stata davvero chiusa dentro? Riflettendoci, mentre Chitanda era chiusa dentro la stanza, la chiave era con me. Di certo, non ero stato io a chiudere la porta a chiave. Allora, la risposta era semplice.

«Non sei stata tu a chiudere la porta?»

Eppure, Chitanda scosse la testa e negò in modo inequivocabile.

«Non ho fatto nulla del genere».

«Ma la chiave ce l’avevo io. A parte te, chi altri può averla chiusa?»

«...»

«Be’, certe volte capita che una persona si dimentichi se ha chiuso la porta o no».

Eppure Chitanda non stava prestando attenzione alla mia spiegazione e improvvisamente puntò il dito proprio dietro di me.

«A proposito, lui è un tuo amico?»

Mi voltai e, dietro la porta leggermente socchiusa, vidi la silhouette di un’uniforme nera. Il suo sguardo si incontrò rapidamente con il mio. Ricordai di aver già visto quelli occhi marroni che sembravano sorridere, così alzai la voce e gridai: «Satoshi! Origliare le conversazioni degli altri è una cattiva abitudine!»

La porta si aprii e, come previsto, entrò nella stanza Satoshi Fukube. Senza alcuna vergogna, disse sfacciatamente: «Ok, mi dispiace. Non avevo intenzione di origliare».

«Forse non ne avevi l’intenzione, ma alla fine l'hai fatto comunque».

«Può darsi che sia così. Ma non potevo irrompere nella stanza, mentre il solito inattivo Houtarou stava trascorrere del tempo di qualità da solo con una ragazza, in un’aula illuminata dalla luce del tramonto. Non volevo essere cacciato».

Di cosa stava parlando?

«Pensavo che te ne fossi già andato a casa».

«Stavo per farlo, ma poi ti ho visto dal piano di sotto con questa ragazza. Credo di essere ancora inesperto come spia».

Ignorai il commento di Satoshi sul fatto di averci visto dal piano di sotto. D'altronde, si trattava del suo solito modo di scherzare. Eppure, ero sicuro che una persona qualunque, non abituata a quel genere di battute, ci sarebbe probabilmente cascata sul serio.

Perfino Chitanda sembrava averci creduto.

«Ecco, io...»

La sua espressione calma di qualche secondo fa era scomparsa, sostituita da uno sguardo agitato. Sembrava indossare le proprie espressioni come se fossero una maschera e quello sguardo nervoso, in particolare, voleva dire: "Guarda, in questo momento mi sento agitata". Anche se era divertente guardarla in quello stato, non volevo che la situazione andasse avanti.

Fortunatamente, per esporre gli scherzi di Satoshi, tutto quello che dovevi fare era chiedergli: «Sei serio?»

«Certo che no».

Phew. Chitanda tirò un sospiro di sollievo. Il motto di Satoshi era: «Il gioco è bello quando dura poco. Se viene frainteso, allora diventa una bugia».

Dopo essersi ripresa dallo scherzo di Satoshi, Chitanda chiese un po' stanca: «Oreki, lui chi è…?»

Capii di doverle presentare Satoshi, o non saremmo arrivati da nessuna parte. Dissi brevemente: «Oh, lui? Questo è Satoshi Fukube, un finto "uomo di mondo"».

«Finto?»

Quell'introduzione, a mio avviso molto adeguata, sembrava essere piaciuta anche a Satoshi.

«Ah ah, ottima presentazione, Houtarou. Piacere di conoscerti. E tu, come ti chiami?»

«Chitanda, Eru Chitanda».

Dopo aver sentito il nome di Chitanda, Satoshi ebbe una reazione inaspettata. Era la prima volta, in realtà, che lo vidi rimanere senza parole. Si trattava di un caso rarissimo per una persona così loquace come lui.

«Chi-Chitanda? Quella Chitanda?».

«Hmm? Non so a quale Chitanda ti riferisci, ma credo di essere l'unica a scuola con questo nome».

«Allora deve essere così. Sono sorpreso».

La sorpresa di Satoshi era genuina. E se lui era sorpreso, allora avrei dovuto esserlo anch'io. D’altro canto, questo ragazzo aveva una straordinaria capacità nello scoprire qualsiasi tipo di informazione. Eppure, cosa lo aveva reso così sorpreso? Non riuscivo neanche a immaginarlo.

«Ehi, Satoshi, cosa stai blaterando?»

«Cosa sto blaterando? So che non sei molto informato, ma come fai a non aver mai sentito parlare della famiglia Chitanda?»

«Che ha di speciale questa famiglia?»

Satoshi annuii soddisfatto e inizio a spiegare.

«A Kamiyama, ci sono diverse vecchie famiglie prestigiose e le più importanti sono le quattro "Famiglie Esponenziali". La famiglia Juumonji (十 文 字), che gestisce il Tempio Arekusu, la famiglia Sarusuberi (百 日 紅), proprietaria della libreria, la famiglia Chitanda (千 反 田) con la loro grande azienda agricola e, infine, la famiglia Manninbashi (万 人 橋), proprietaria dei terreni sul versante della montagna. Il primo carattere kanji dei loro cognomi rappresenta un esponente del numero dieci (十 百 千 万), ecco perché sono chiamate le "Famiglie Esponenziali". Le uniche famiglie in grado di rivaleggiare con loro sono la famiglia Irisu, che gestisce l'ospedale locale, e la famiglia Toogaito, che opera nel campo dell’istruzione».

Sbattei le palpebre sorpreso e chiesi: «Le quattro famiglie? Satoshi, stai dicendo sul serio?»

«Che maleducato. Ti sembra che abbia mai mentito su cose di questo genere?»

Quando Satoshi diceva che era la verità, allora era più probabile che non stesse mentendo. Tuttavia, delle famiglie così prestigiose sono davvero rare al giorno d’oggi. Mentre Satoshi era ancora accigliato, Chitanda venne in suo aiuto.

«Ehm, quelle storie le ho già sentite prima, ma non credo che la mia famiglia sia poi così famosa».

«Allora è la verità?»

«Ma questa è la prima volta che sento parlare delle "Famiglie Esponenziali"».

Spostai il mio sguardo verso Satoshi, che si limitò ad alzare le spalle.

«Non ho detto che stavo mentendo».

«Quindi è una tua invenzione?»

«Be’, una volta tanto, piacerebbe anche a me diffondere delle leggende».

Come ad indicare la fine della discussione, Satoshi batte le mani e disse: «Ad ogni modo, Houtarou, avete avuto qualche problema?»

Sembrava curioso. Gli spiegai quindi tutti i dettagli di quella storia lunghissima, nel modo più breve possibile.


Si stava facendo buio, così Chitanda dovette accendere le luci.

Dopo aver ascoltato la storia, Satoshi incrociò le braccia ed emise un gemito.

«Uhm, un caso strano».

«Cosa vuoi dire? Chitanda si è semplicemente dimenticata di aver chiuso la porta».

«No, questo caso è davvero strano».

Satoshi sciolse le braccia e batté le mani.

«Ultimamente, le scuole stanno gestendo i loro istituti in modo molto esigente e il Kamiyama non fa eccezione. In caso non l'abbiate notato, nessuna delle aule può essere chiusa dall'interno. Lo scopo è quello di impedire agli studenti di svolgere attività sospette».

Dopo Satoshi aveva concluso la spiegazione, un sospetto si sollevò nella mia testa. Satoshi era particolarmente bravo nello scovare informazioni inutili, ma non ne stava scoprendo un po' troppe? D’altro canto, era in quella scuola da meno di un mese.

«Come fai a sapere tutte queste cose?»

«La scorsa settimana, stavo provando a nascondermi in un’aula per fare un esperimento, ma poi ho scoperto che non potevo chiudere la porta dall'interno».

«Sai? Credo che la scuola abbia progettato le porte proprio per impedire, specificamente a quelli come te, di fare "qualcosa di sospetto"».

«Be’, è probabile».

«Puoi scommetterci».

Scoppiamo a ridere entrambi. Le nostre risate secche fecero indietreggiare Chitanda di un passo. Avendolo notato, mi schiarii la gola e dissi: «Forse la serratura ha qualcosa che non va. Si sta facendo buio, quindi torno a casa».

Mi alzai dal tavolo su cui ero seduto.

In quel momento, sentii qualcuno afferrarmi la spalla. Mi voltai e vidi Chitanda che, in qualche modo, si era avvicinata da dietro senza che me ne accorgessi.

«Aspetta, per favore!»

«E adesso cosa vuoi?»

«Sono curiosa».

Trasalii dopo aver visto la faccia di Chitanda così vicina alla mia.

«Quindi?»

«Perché la porta era chiusa a chiave? …E se davvero era chiusa, allora come ho fatto ad entrare?»

Lo sguardo di Chitanda aveva una sorta di potere in grado di rifiutare qualsiasi risposta sciocca. Sentendomi sopraffatto, risposi docilmente: «Cosa vuoi sapere?»

«Anche se ci fosse stato un errore con le chiavi, da chi è stato commesso? E perché alla fine mi hanno chiusa dentro?»

«Forse la serratura è rotta…»

«Sono davvero curiosa» disse mentre si avvicinava ancora di più verso di me, costringendomi a fare un passo indietro.

All'inizio, pensavo che Chitanda fosse una ragazza graziosa, ma quella era solo una mia prima impressione, basata sul suo aspetto. Finalmente, stavo guardando la vera Chitanda. A riflettere la sua vera natura, erano soprattutto i suoi grandi occhi energici, in netto contrasto con il suo aspetto generale. La semplice frase "sono curiosa" rendeva questa ragazza l’incarnazione stessa della curiosità.

«Com’è accaduto tutto questo? Oreki, e anche Fukube, mi aiuterete a scoprirlo?»

«Perché dovrei…»

«Be’, sembra interessante» mi interruppe Satoshi, accettando prontamente la sfida. C’era da aspettarselo da uno come lui, ma ad ogni modo «Io torno a casa. Non sono interessato».

Per me si trattava di un inutile spreco di energia, che non volevo assolutamente compiere.

Eppure, Satoshi, che avrebbe dovuto conoscere benissimo il mio modus operandi, disse: «Oh, andiamo, Houtarou, aiutaci anche tu. Lo farei io se potessi, ma non riesco ad arrivare a nessuna conclusione logica, basandomi solo sul mio database».

«Che stupidaggine, io…»

Stavo per concludere la frase, quando vidi Satoshi guardare in direzione di Chitanda. Mi voltai anch'io.

«Uh…»

Lei mi stava fissando con la bocca chiusa a forza e le mani che stringevano la gonna. Inconsciamente feci un altro passo indietro. La sua personalità era talmente intensa che persino mia sorella non sarebbe riuscita a competerle. Quello di Satoshi era un avvertimento: Credo che sia meglio dare retta ai suoi capricci.

Alternai il mio sguardo tra Chitanda e Satoshi. Alla fine, annuii leggermente verso Satoshi e seguii il suo consiglio. Altrimenti, un mare di disgrazie si sarebbe abbattuto su di noi.

«In effetti, mi sembra davvero interessante. Credo che ci rifletterò su» dissi in tono impassibile, dato che ormai non avevo altra scelta.

Dopo aver ascoltato la mia risposta, Chitanda rilassò il suo sguardo.

«Oreki, hai già pensato a una soluzione?»

«Aspetta e vedrai. Houtarou è un tipo a cui piace riflettere prima di agire, ma una volta che ha messo insieme tutti i pezzi, è in grado di portare a termine qualsiasi compito».

Satoshi si stava dimostrando un po’ troppo loquace. Tuttavia, ero d’accordo sul fatto che muoversi prima di pensare non portava mai a nulla di buono.

Così, iniziai a riflettere sull’accaduto.


Quando Chitanda era entrata, la porta era aperta. Eppure, quando ero arrivato io, l’aula era chiaramente chiusa.

Se Satoshi stava dicendo il vero, allora Chitanda non poteva aver chiuso la porta dall'interno. Tuttavia, piuttosto che una ragione così arbitraria, quello poteva essere il risultato di un'azione inconscia. Magari la porta si trovava in uno stato a metà tra il chiuso e l’aperto, così quando Chitanda era entrata nella stanza, la serratura si era in qualche modo innescata, causando la chiusura della porta.

Dopo aver spiegato la mia teoria, Chitanda inclinò la testa pensierosa, ma Satoshi intervenne immediatamente.

«È impossibile. Il design delle porte del Kamiyama non permette che si crei una situazione del genere. Altrimenti, la chiave non sarebbe uscita dalla serratura».

Non c’era una via di mezzo, uh?

Allora la porta doveva essere stata chiusa consapevolmente da qualcuno. Così chiesi: «Ti ricordi a che ora sei entrata in quest’aula?»

Chitanda ci pensò per un attimo e poi disse: «Circa tre minuti prima di te, credo».

Tre minuti erano davvero pochi, considerando che l’aula di geologia si trovava nell'angolo più remoto dell’istituto.

Il mistero stava diventando complesso... Ricominciai a pensare, quando Chitanda improvvisamente gridò: «Ah!»

«Che succede, Chitanda?»

«Ora che ci penso, chi altro ha le chiavi?»

«Eh? Chi?»

Chitanda aveva uno sguardo gioioso sul volto... Per qualche ragione, avevo un brutto presentimento. Come previsto, la ragazza si voltò verso di me e disse: «Ovviamente, Oreki ne ha una».

Proprio come pensavo. Tuttavia, invece di concludere la sua buona deduzione, si rese conto di qualcosa e disse: «Ah, ma è possibile? Oreki è davvero una persona affidabile?»

Stava dicendo quelle cose proprio davanti al diretto interessato… Rimasi senza parole. Satoshi iniziò a ridere e disse: «Be’, non so se Houtarou possa essere definito affidabile, ma di certo non è il tipo di persona che si divertirebbe a chiuderti dentro. Non ha niente da guadagnarci, dopotutto».

Aveva ragione. Se qualcosa non mi procurava un beneficio, allora non l’avrei mai fatta.

Non ero stato io a chiudere la porta a chiave.

Quindi… chi era il colpevole?

Non riuscivo a capirlo, così continuai a grattarmi la testa.

Non avevo nessun’idea. Anche se mi sentivo un po’ in colpa, chiesi: «Per caso hai qualche indizio?»

«Indizio? Cosa intendi?»

Aveva risposto alla mia domanda con un'altra domanda.

«Un indizio è un indizio».

Satoshi mi aiutò ad elaborare una spiegazione enormemente semplificata.

«Hai notato qualcosa di strano o di insolito, Chitanda?»

«Hmm, ora che ci penso...»

C'era qualcosa di strano? Anche se non mi aspettavo nessuna risposta utile, Chitanda diede un’occhiata all’aula di geografia, prima di volgere lo sguardo verso il basso e dire piano: «Poco fa, ho sentito dei rumori provenire da sotto i miei piedi».

Rumori?

Quindi era stata una persona a chiudere la porta a chiave? Non ne avevo idea.

No… Forse era davvero così.

In qualche modo, ero arrivato a una conclusione. Satoshi notò la mia espressione e disse: «Houtarou, sembra che tu abbia capito qualcosa».

Presi il mio zaino senza dire una parola.

«Dove stai andando, Oreki?»

«Se siamo fortunati, assisteremo alla ricostruzione della scena del crimine».

Chitanda iniziò freneticamente a seguirmi, mentre Satoshi si trovava senza dubbio dietro di lei.


Era già abbastanza tardi e l'orario di chiusura si stava avvicinando. Guardando fuori, si poteva scorgere la squadra di baseball riordinare le varie attrezzature. Chitanda e Satoshi, che avrei già dovuto lasciare molto tempo prima, mi stavano accompagnando o, per meglio dire, mi stavano seguendo.

Chitanda camminava al mio fianco e chiese: «Perché non vuoi dirci come hai fatto a capirlo così velocemente?»

Anche Satoshi parlò da dietro: «Sai, credo che abbia ragione. Non dovrebbero esserci segreti tra noi».

Non smettevano di ripetere cose del genere. Senza girarmi, dissi: «Non è un segreto. La soluzione è così semplice che non sono necessarie spiegazioni».

«Forse è semplice per te, Oreki, ma io continuo a non capire».

Chitanda mise il broncio... Spiegare tutto era una seccatura, tuttavia anche eludere le domande era uno spreco di energie. Raddrizzai il mio zaino a tracolla e mi chiesi da dove avrei dovuto cominciare.

«Va bene, e se ti dicessi che sei stata chiusa dentro da qualcuno usando un passe-partout?»

Appena dissi quella cosa, che per me era un dato di fatto, Chitanda pronunciò un tono di sorpresa. A quanto pareva, la spiegazione doveva iniziare da quel punto.

«Ehh? Com’è possibile?»

«L’aula di geologia si trova in un angolo remoto dell’istituto. Se qualcuno ti avesse chiusa dentro usando la chiave normale, avrebbe dovuto riportarla alla stanza del personale, prima che io la prendessi. Per fare una cosa del genere, tre minuti sarebbero troppo pochi».

«Capisco. Quindi il colpevole deve aver usato un'altra chiave e, dato che la chiave normale è solo una, il passe-partout è l’unica opzione.»

Esatto. Naturalmente, il passe-partout non poteva di norma essere usato da degli studenti, ma eravamo in possesso di un’informazione decisiva.

«Chitanda, hai detto di aver sentito dei rumori sotto ai tuoi piedi, giusto?»

«Sì».

«Se il suono proviene dal pavimento del quarto piano, di solito a che conclusione arriveresti?»

Satoshi, che sembrava piuttosto rilassato, rispose: «Penserei che il suono proviene dal soffitto del terzo piano».

«Giusto, e ora vi trovate davanti alla persona che ha utilizzato il passe-partout».

Dopo l'ora di lezione, l'unica persona che aggiustava delle cose sui soffitti delle aule era...

«Incredibile. Sei riuscito a capire che era il bidello» disse Chitanda, mentre annuiva entusiasta.

La persona che stavamo guardando al terzo piano era il bidello. Portava con sé una grande scala e, quando uscì da un'aula, la appoggiò sul pavimento per prendere una chiave dalla sua tasca. Proprio davanti ai nostri occhi, cominciò a chiudere le porte delle aule del terzo piano una ad una. In parole povere, prima di tutto aveva aperto le porte di tutte le aule per fare quello che doveva fare e, una volta terminato, le aveva richiuse tutte in una volta. Se qualcuno fosse entrato nelle aule quando le porte erano aperte, allora il povero malcapitato sarebbe rimasto chiuso dentro… Proprio come Chitanda.

Non avevo idea di cosa stesse facendo il bidello. Visto che entrava in tutte aule portandosi una scala, probabilmente stava cambiando le lampadine o controllando gli allarmi antincendio. In ogni caso, il mistero era stato ampiamente risolto.

Il caso è chiuso.

«Visto? Te l’avevo detto che, una volta messi insieme i pezzi, Houtarou ci sarebbe riuscito».

«Hai ragione. È stato incredibile».

Non mi sentivo poi così incredibile... Dopotutto, era stato Satoshi a parlarmi del funzionamento delle porte, mentre era stata Chitanda a notare i rumori provenienti dal piano di sotto. E io che stavo pianificando per tutto il tempo di fare lo scemo... Oh, be’, potevano pensare quello che volevano su di me. Nonostante fossi stato costretto a risolvere tutti quei problemi, dopo aver guardato Chitanda e l’onesta ammirazione riflessa nei suoi occhi, finii per ingoiare tutte le lamentele che avrei voluto fare. «Comunque, non capisco ancora come tu non abbia sentito il rumore della serratura, quando sei stata chiusa dentro».

Stranamente, Chitanda non la prese come una critica o sarcasmo, e semplicemente sorrise.

«Be’, posso spiegarlo. Stavo... Sì, stavo guardando quell'edificio dalla finestra» disse, indicando il dojo della nostra scuola sul ciglio della strada.

L’edificio in legno aveva un aspetto squallido e consumato, a causa della continua esposizione agli elementi atmosferici per così tanti anni. Prendendo esempio da Chitanda, esposi la mia sincera opinione: «Quell'edificio sembra proprio averti ipnotizzata».

«No, semplicemente trovo che sia piuttosto misterioso».

«Hmm».

Non capivo come quel edificio potesse essere definito misterioso, ma Satoshi sembrava aver capito qualcosa e mormorò: «Be’, sembra particolarmente antico».

«In effetti lo è».

Sul serio? Possibile che si fosse distratta guardando un edificio così vecchio? Non sapevo se definirla una ragazza elegante o con la testa tra le nuvole.

Dopo un po’, ci imbattemmo in un semaforo rosso. Come noi, c'erano tanti altri studenti che stavano tornando a casa.

«A proposito, non ci siamo ancora presentati come si deve» disse piano Chitanda.

«Presentati?»

«Esatto. Dopotutto, da oggi iniziano le attività del club di letteratura. Cerchiamo di divertirci».

Il club di letteratura! Me n’ero completamente dimenticato! Dovevo solo dare un'occhiata all'aula del club, ma era stato del tutto inutile, visto che Chitanda si era già iscritta... Ormai era tutto col senno di poi. Infatti, avevo già presentato la mia domanda di iscrizione e, in quella scuola, era impossibile lasciare un club senza averlo frequentato almeno per un mese.

Abbassai la testa frustrato, mentre Chitanda si voltò per sorridere a Satoshi.

«Ti unisci anche tu al club, Fukube?»

Satoshi incrociò le braccia dando l’impressione che ci stesse pensando, ma molto presto rispose: «Be’, sembra interessante. Va bene, ci sto».

«È un piacere conoscerti, Fukube».

«No, il piacere è tutto mio... Piacere di conoscere anche te, Houtarou».

Guardai in modo beffardo Satoshi, che aveva deciso di fare l’idiota.

Quando il semaforo diventò verde, ricominciammo a camminare. Infilando la mano nella tasca, sentii al tatto la lettera di mia sorella. Da quando mi era arrivata quella lettera da Tomoe, avevo la sensazione che qualcosa si fosse messo in moto.

Eri felice, sorellona? Finalmente il club di letteratura, che rappresentava la tua gioventù, aveva tre nuovi membri. Il club di letteratura classica era rinato. Quello fu probabilmente anche un addio ai miei giorni passati a risparmiare energie. Se vi chiedete il perché...

«Ah, giusto, non abbiamo ancora deciso chi sarà il presidente. Che facciamo?»

«Hai ragione. Direi che Houtarou non è assolutamente adatto a fare il presidente di un club».

Quei due probabilmente non avrebbero mai sopportato i miei metodi per risparmiare energie. Se fosse stato solo Satoshi, allora avrei potuto gestirlo in qualche modo, ma il problema principale era...

I nostri occhi si incontrarono. Eru Chitanda sorrise con i suoi grandi occhi.

Il problema principale era quella ragazza. Avevo una strana sensazione a riguardo.


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  1. La dottrina del filosofo e pedagogista americano J. Dewey (1859-1952), di derivazione pragmatistica, secondo la quale il pensiero è uno strumento per affrontare le difficoltà che insorgono nel fronteggiare una situazione nuova, quando l'esperienza rivela il fallimento delle modalità istintive di reazione.
  2. Un’arte marziale praticata dai bushi (guerrieri) che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi.
  3. Un’arte marziale sviluppata dalla polizia feudale giapponese per arrestare criminali pericolosi e solitamente armati.